27.12.10
Romy Schneider
nome d'arte di Rosemarie Magdalena Albach-Retty, è stata un'attrice austriaca.
Romy Schneider era una figlia d'arte: la madre Magda Schneider e il padre Wolf Albach-Retty erano entrambi attori di successo, perlomeno in ambito austriaco. Il padre abbandonò la famiglia, legandosi con un'altra attrice austriaca, quando Romy era ancora molto giovane. Questo portò Romy a legarsi molto alla madre ed al fratello Wolfi, più piccolo di lei (nato nel 1941). Dopo un periodo passato in collegio, in cui dimostrò una certa bravura come pittrice, tornò in famiglia a Vienna. La madre nel frattempo aveva contratto un secondo matrimonio con un pasticciere di Colonia.
La madre volle fortemente che Romy intraprendesse la carriera cinematografica, nonostante la figlia non ne fosse convinta. Apparve per la prima volta sullo schermo a soli 15 anni, nel film Wenn der weisse Flieder wieder blüht del 1953. Il suo primo successo lo ottenne però l'anno successivo con L'amore di una grande regina (Mädchenjahre einer Königin), sulla giovinezza della Regina Vittoria; in questo film prese il nome di Romy Schneider, assumendo quindi il cognome della madre, e non quello del padre, che era Albach.
In questo film il ruolo della fedele governante della regina Vittoria, la baronessa Lehzen, è interpretato da sua madre. Magda Schneider ricoprirà anche il ruolo della madre di Romy in parecchi film nella prima parte della sua carriera, tra cui i più famosi sono quelli della trilogia di Sissi, dedicati all'imperatrice d'Austria Elisabetta. Prodotti nel periodo di tre anni (dal 1955 al 1957), le diedero un'immensa popolarità, grazie alla carica di freschezza, ingenuità ed entusiasmo, che l'attrice seppe infondere al personaggio. Il personaggio dell'Imperatrice Elisabetta di Baviera le si confaceva anche per una certa somiglianza con la consorte dell'Imperatore Francesco Giuseppe. Ancora oggi questi tre film sono riproposti continuamente in televisione, a dimostrazione del loro perdurante successo. Per il grande pubblico che ignora le interpretazioni della seconda parte della carriera dell'attrice, Romy Schneider è semplicemente "Sissi".
Ai film della trilogia seguirono o si inframmezzarono, altri film più o meno dello stesso tenore, favolette romantiche a lieto fine, o commedie divertenti, in cui l'attrice interpreta sempre la parte della fanciulla pura, onesta e allegra, magari solo sfiorata da tentazioni, come in Eva. Confidenze di una minorenne. In questo periodo Romy è saldamente diretta dalla madre, che le sceglie i ruoli cinematografici e ne cura l'immagine, mentre il patrigno ne gestisce gli introiti.
Una certa insofferenza ai ruoli fino allora ricoperti però emerge già. L'attrice si rifiuta infatti di fare un quarto film sulla vita di Sissi, già in cantiere. Più tardi confesserà a Karlheinz Böhm, l'attore che interpretava il ruolo di Francesco Giuseppe e con cui rimase sempre in amicizia, di vergognarsi profondamente dei film girati in quel periodo. Böhm ha anche aggiunto, in una intervista pubblicata in Italia su "Repubblica", di ritenere che questo sia un peso che l'attrice si è portata sempre dietro nella sua vita e che abbia contribuito (insieme ad altri fattori molto più importanti) a determinare l'alcolismo e la depressione che l'afflissero negli ultimi anni e la tragica fine a soli 44 anni.
La vera svolta nella carriera di Romy Schneider avvenne con uno dei film successivi, L'amante pura (1958). Durante la lavorazione del film conobbe Alain Delon e con lui ebbe una lunga relazione e si trasferì a Parigi. Da questo momento recitò in film soprattutto francesi e italiani, come La piscina (1968) di Jacques Deray, La Califfa (1970) di Alberto Bevilacqua, Ludwig (1973) di Luchino Visconti, dove fu una ben diversa Elisabetta di Baviera, e La morte in diretta (1979) di Bertrand Tavernier.
Nel frattempo la sua vita sentimentale, dopo la rottura con Delon del 1964, si complicò con due matrimoni falliti che la portarono a depressione ed alcolismo. Il 21 gennaio 1977 nacque la figlia Sarah, avuta dal secondo marito Daniel Biasini, oggi anch'essa attrice. L'improvvisa morte del figlio quattordicenne David (nato il 3 dicembre 1966 e deceduto tragicamente il 5 luglio 1981), avuto dal regista Harry Meyen, la colpì duramente e non si riprese mai del tutto.
Inquietante e toccante, il film Fantasma d'amore (1980) di Dino Risi nascose e rivelò di lì a poco tempo un tragico epilogo nella vita reale.
Fu trovata morta nella casa parigina del produttore Laurent Petin, al quale era legata da circa un anno, il 29 maggio 1982 per un attacco cardiaco, anche se la voce di un suicidio ebbe molta diffusione.
È sepolta a Boissy-sans-Avoir, un piccolo paese vicino alla capitale francese.
Secondo un articolo del 21 dicembre 2009 del quotidiano tedesco Bild, dal 1976 sino alla morte la Schneider fu vittima di spionaggio da parte della Stasi, i servizi segreti della DDR, per il suo sostegno ad un comitato d'opposizione.
Romy Schneider era una figlia d'arte: la madre Magda Schneider e il padre Wolf Albach-Retty erano entrambi attori di successo, perlomeno in ambito austriaco. Il padre abbandonò la famiglia, legandosi con un'altra attrice austriaca, quando Romy era ancora molto giovane. Questo portò Romy a legarsi molto alla madre ed al fratello Wolfi, più piccolo di lei (nato nel 1941). Dopo un periodo passato in collegio, in cui dimostrò una certa bravura come pittrice, tornò in famiglia a Vienna. La madre nel frattempo aveva contratto un secondo matrimonio con un pasticciere di Colonia.
La madre volle fortemente che Romy intraprendesse la carriera cinematografica, nonostante la figlia non ne fosse convinta. Apparve per la prima volta sullo schermo a soli 15 anni, nel film Wenn der weisse Flieder wieder blüht del 1953. Il suo primo successo lo ottenne però l'anno successivo con L'amore di una grande regina (Mädchenjahre einer Königin), sulla giovinezza della Regina Vittoria; in questo film prese il nome di Romy Schneider, assumendo quindi il cognome della madre, e non quello del padre, che era Albach.
In questo film il ruolo della fedele governante della regina Vittoria, la baronessa Lehzen, è interpretato da sua madre. Magda Schneider ricoprirà anche il ruolo della madre di Romy in parecchi film nella prima parte della sua carriera, tra cui i più famosi sono quelli della trilogia di Sissi, dedicati all'imperatrice d'Austria Elisabetta. Prodotti nel periodo di tre anni (dal 1955 al 1957), le diedero un'immensa popolarità, grazie alla carica di freschezza, ingenuità ed entusiasmo, che l'attrice seppe infondere al personaggio. Il personaggio dell'Imperatrice Elisabetta di Baviera le si confaceva anche per una certa somiglianza con la consorte dell'Imperatore Francesco Giuseppe. Ancora oggi questi tre film sono riproposti continuamente in televisione, a dimostrazione del loro perdurante successo. Per il grande pubblico che ignora le interpretazioni della seconda parte della carriera dell'attrice, Romy Schneider è semplicemente "Sissi".
Ai film della trilogia seguirono o si inframmezzarono, altri film più o meno dello stesso tenore, favolette romantiche a lieto fine, o commedie divertenti, in cui l'attrice interpreta sempre la parte della fanciulla pura, onesta e allegra, magari solo sfiorata da tentazioni, come in Eva. Confidenze di una minorenne. In questo periodo Romy è saldamente diretta dalla madre, che le sceglie i ruoli cinematografici e ne cura l'immagine, mentre il patrigno ne gestisce gli introiti.
Una certa insofferenza ai ruoli fino allora ricoperti però emerge già. L'attrice si rifiuta infatti di fare un quarto film sulla vita di Sissi, già in cantiere. Più tardi confesserà a Karlheinz Böhm, l'attore che interpretava il ruolo di Francesco Giuseppe e con cui rimase sempre in amicizia, di vergognarsi profondamente dei film girati in quel periodo. Böhm ha anche aggiunto, in una intervista pubblicata in Italia su "Repubblica", di ritenere che questo sia un peso che l'attrice si è portata sempre dietro nella sua vita e che abbia contribuito (insieme ad altri fattori molto più importanti) a determinare l'alcolismo e la depressione che l'afflissero negli ultimi anni e la tragica fine a soli 44 anni.
La vera svolta nella carriera di Romy Schneider avvenne con uno dei film successivi, L'amante pura (1958). Durante la lavorazione del film conobbe Alain Delon e con lui ebbe una lunga relazione e si trasferì a Parigi. Da questo momento recitò in film soprattutto francesi e italiani, come La piscina (1968) di Jacques Deray, La Califfa (1970) di Alberto Bevilacqua, Ludwig (1973) di Luchino Visconti, dove fu una ben diversa Elisabetta di Baviera, e La morte in diretta (1979) di Bertrand Tavernier.
Nel frattempo la sua vita sentimentale, dopo la rottura con Delon del 1964, si complicò con due matrimoni falliti che la portarono a depressione ed alcolismo. Il 21 gennaio 1977 nacque la figlia Sarah, avuta dal secondo marito Daniel Biasini, oggi anch'essa attrice. L'improvvisa morte del figlio quattordicenne David (nato il 3 dicembre 1966 e deceduto tragicamente il 5 luglio 1981), avuto dal regista Harry Meyen, la colpì duramente e non si riprese mai del tutto.
Inquietante e toccante, il film Fantasma d'amore (1980) di Dino Risi nascose e rivelò di lì a poco tempo un tragico epilogo nella vita reale.
Fu trovata morta nella casa parigina del produttore Laurent Petin, al quale era legata da circa un anno, il 29 maggio 1982 per un attacco cardiaco, anche se la voce di un suicidio ebbe molta diffusione.
È sepolta a Boissy-sans-Avoir, un piccolo paese vicino alla capitale francese.
Secondo un articolo del 21 dicembre 2009 del quotidiano tedesco Bild, dal 1976 sino alla morte la Schneider fu vittima di spionaggio da parte della Stasi, i servizi segreti della DDR, per il suo sostegno ad un comitato d'opposizione.
Giacomo Rossi Stuart
Dotato di un fisico atletico, pratica sin da giovane varie discipline sportive tra l'altro la boxe, l'equitazione e la scherma, divenendo uno dei migliori campioni del pentathlon.
Attratto dal cinema e dalla recitazione, parte per gli Usa, nei primi anni 50, per seguire i corsi di recitazione dell' Actor's Studio di New York, per tornare successivamente in Italia e partecipare al suo primo film - Il mantello rosso - in cui fu diretto da Giuseppe Maria Scotese. Sarà, questa, la prima pellicola di oltre cento, che Rossi Stuart girerà in circa 40 anni, in diverse tematiche tra il western, lo spionaggio, i film storici di cappa e spada, lavorando parallelamente anche in televisione.
Il suo film più famoso è Operazione paura di Mario Bava.
Attratto dal cinema e dalla recitazione, parte per gli Usa, nei primi anni 50, per seguire i corsi di recitazione dell' Actor's Studio di New York, per tornare successivamente in Italia e partecipare al suo primo film - Il mantello rosso - in cui fu diretto da Giuseppe Maria Scotese. Sarà, questa, la prima pellicola di oltre cento, che Rossi Stuart girerà in circa 40 anni, in diverse tematiche tra il western, lo spionaggio, i film storici di cappa e spada, lavorando parallelamente anche in televisione.
Il suo film più famoso è Operazione paura di Mario Bava.
26.12.10
il grande Torino
« Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto "in trasferta". »
(Indro Montanelli)
Gli invincibili del grande Torino vincitori di 5 Scudetti consecutivi e detentori dei più importanti record della storia del calcio italiano
Con il nome di grande Torino si indica la squadra di calcio del Torino nel periodo storico compreso negli anni quaranta del secolo scorso, pluricampione d'Italia i cui giocatori erano la colonna portante della Nazionale italiana e che ebbe tragico epilogo il 4 maggio 1949, in quella sciagura aerea nota come Tragedia di Superga.
Con questo nome, benché si identifichi comunemente la squadra che perì nella sciagura, si usa definire l'intero ciclo sportivo, durato otto anni, che ha portato alla conquista di cinque scudetti consecutivi, eguagliando così il record precedentemente stabilito dalla Juventus del Quinquennio d'oro, e di una Coppa Italia.
ai confini della realtà
« C'è una quinta dimensione, oltre a quelle che l'uomo già conosce. È senza limiti come l'infinito, e senza tempo come l'eternità: è la regione intermedia tra la luce e l'oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l'oscuro baratro dell'ignoto e le vette luminose del sapere. È la regione dell'immaginazione, una regione che si trova ai confini della realtà. »
(Rod Serling)
Ai confini della realtà (The Twilight Zone) è una serie televisiva di genere fantascientifico trasmessa in tre diversi periodi dalla televisione americana. La serie classica, creata da Rod Serling e che vide tra gli sceneggiatori Richard Matheson e Ray Bradbury andò in onda dal 1959 al 1964, la seconda serie fu trasmessa dal 1985 al 1989, e l'ultima è andata in onda tra il 2002 e il 2003.
Seppure considerata fantascientifica, la serie in realtà esplorò raramente i temi classici della fantascienza, focalizzandosi invece su storie incentrate sulle vite di normali persone che venivano radicalmente cambiate dall'incontro con l'"ignoto", con uno squarcio nella realtà che faceva diventare credibile anche l'impossibile.
Spesso, se non sempre con una morale finale, la serie portò la fantascienza al grande pubblico. Famosi i suoi switching endings, in cui la visuale dello spettatore veniva ribaltata con un colpo di scena finale che capovolgeva la prospettiva. Ogni episodio della serie originale era presentato da Serling, che introduceva lo spettatore nella vita di una persona che stava per cambiare per il suo ingresso nella zona "ai confini della realtà".
Il titolo originale della serie, The twilight zone, "La zona del crepuscolo", è un termine in cui in aviazione si indica il momento in cui, in fase di atterraggio di un aereo, la linea dell'orizzonte scompare sotto il velivolo, lasciando per un attimo il pilota senza riferimenti. Inoltre, tale titolo per molto tempo si attribuì alla caratteristica dell'ideatore Rod Serling che, soffrendo d'insonnia, sembrava fosse solito registrarsi (nella luce del crepuscolo, metaforicamente, quindi) le tracce di quelli che poi divenivano gli episodi della serie
il prigioniero
Il prigioniero è una serie televisiva britannica del 1967 di genere fantascientifico (più precisamente fantapolitico), interpretata da Patrick McGoohan, creata dallo stesso McGoohan e George Markstein. McGoohan inoltre ha scritto e diretto parecchi episodi, spesso sotto uno pseudonimo.
Soggetto
Il personaggio principale è un ex-agente segreto del governo britannico, che immediatamente dopo le sue dimissioni viene imprigionato in un piccolo villaggio con abitazioni e monumenti in stile mediterraneo, situato in una località sconosciuta, dove «con le buone o con le cattive» i capi del Villaggio cercheranno di carpirgli le ragioni delle sue dimissioni. Il protagonista si ritrova quindi privato dei più elementari diritti, persino del nome, visto che tutti si rivolgono a lui chiamandolo Numero 6 (spettatore compreso, dato che il vero nome del protagonista non viene mai rivelato). Per tutta la durata della serie, Numero 6 si ribella ai tentativi dei suoi rapitori di piegare la sua volontà, e tenta con tenacia sia la fuga, sia di infrangere i segreti che lo circondano. In particolare, cercherà di scoprire l'identità del misterioso Numero 1, dal quale i capi del Villaggio (i Numero 2, che cambiano in ogni episodio) prendono ordini.
Popolarità della serie
Con i suoi messaggi e temi di controcultura tipici degli anni sessanta, il programma ha avuto un effetto ampio sulla televisione di genere fantascientifico e sulla cultura popolare in genere. Nel 2002 la serie ha vinto il Prometheus Award. Nel 2005 i lettori della rivista SFX hanno posizionato la serie al quinto posto in un sondaggio sui programmi televisivi del genere fantastico. Più tardi nello stesso anno, fu rivelato che la casa di produzione dello show, Granada Productions, stava programmando un remake della serie originale per l'emittente Sky One.
Il telespettatore segue gran parte della storia dal punto di vista del protagonista che è all'oscuro di tutto. La gente, incuriosita dall'alone di mistero del telefilm, dopo le prime puntate cominciò a seguire la serie in un modo compulsivo. Ma l'episodio finale causò così tanta confusione che il network televisivo fu sommerso da proteste telefoniche; McGoohan fu persino seguito fino alla propria abitazione da spettatori delusi che chiedevano spiegazioni. Come disse in seguito lo stesso McGoohan «...Ci fu quasi una rivolta, stavo per essere linciato. Ho dovuto nascondermi tra le montagne per due settimane, veramente!»
Il telespettatore segue gran parte della storia dal punto di vista del protagonista che è all'oscuro di tutto. La gente, incuriosita dall'alone di mistero del telefilm, dopo le prime puntate cominciò a seguire la serie in un modo compulsivo. Ma l'episodio finale causò così tanta confusione che il network televisivo fu sommerso da proteste telefoniche; McGoohan fu persino seguito fino alla propria abitazione da spettatori delusi che chiedevano spiegazioni. Come disse in seguito lo stesso McGoohan «...Ci fu quasi una rivolta, stavo per essere linciato. Ho dovuto nascondermi tra le montagne per due settimane, veramente!»
Format della serie
Le caratteristiche dominanti della serie sono le trame surreali e innovative, ed i temi di forte impatto sociale, fino ad allora mai proposte in un prodotto seriale, come l'ipnosi, l'uso di droghe allucinogene, il furto d'identità, il controllo della mente e la manipolazione dei sogni.
La serie è composta di 17 episodi, ma questo numero fu un compromesso fra il progetto originale di McGoohan, una miniserie di 7 puntate, e le richieste della rete, che desiderava una stagione completa di 26 episodi.
C'è tuttora un dibattito in atto che contrappone chi sostiene che la serie si concluse per mutuo accordo e chi invece sostiene per annullamento della serie stessa. Secondo il libro The Prisoner: the official companion to the classic TV series scritto da Robert Fairclough, la serie effettivamente fu annullata, obbligando McGoohan a scrivere l'episodio finale, Evasione, in pochi giorni.
La serie è composta di 17 episodi, ma questo numero fu un compromesso fra il progetto originale di McGoohan, una miniserie di 7 puntate, e le richieste della rete, che desiderava una stagione completa di 26 episodi.
C'è tuttora un dibattito in atto che contrappone chi sostiene che la serie si concluse per mutuo accordo e chi invece sostiene per annullamento della serie stessa. Secondo il libro The Prisoner: the official companion to the classic TV series scritto da Robert Fairclough, la serie effettivamente fu annullata, obbligando McGoohan a scrivere l'episodio finale, Evasione, in pochi giorni.
25.12.10
24.12.10
i Brutos
I cinque iniziano ad esibirsi singolarmente nei locali torinesi alla metà degli anni cinquanta: solo Ettore Bruno, detto "Gerry" (per la sua somiglianza con Jerry Lewis), e Giacomo Guerrini, detto "Jack", si conoscono perché sono vicini di casa, e formano una coppia sullo stile di quella formata oltre oceano da Jerry Lewis e Dean Martin.
Vengono notati dall'impresario Aldo Zanfrognini che, ricercando nuovi talenti, ed avendo già fatto un provino ad Elio Piatti, Gianni Zullo ed Aldo Maccione, ha l'idea di unire i cinque e di scritturarli per la rivista Il teatro dei pazzi, che va in scena al teatro Alcione di corso Regina Margherita a Torino nel dicembre del 1958: le prime sere i cinque, ancora senza nome, vestiti con enormi pigiama a strisce bianconere, dicono poche battute, ma un giorno (su sollecitazione del loro impresario) hanno l'idea di far cantare una canzone romantica a Jack Guerrini, il bello della compagnia, mentre gli altri quattro, i brutti, fanno smorfie orribili e cori, storpiando il testo originale della canzone.
Il nome del complesso viene involontariamente inventato dalla donna delle pulizie dell'Alcione che, presentandosi alle dieci del mattino per adempiere ai suoi doveri quotidiani, incontrando i cinque stravolti dalla nottata in bianco, sbottò in un approssimato piemontese: «Ai sève tant simpatic ma ai sève anca tant brutt», che significa: "siete molto simpatici ma siete anche tanto brutti"): ed è cosi che quella stessa sera, sempre al Teatro Alcione di Torino, nascono I Brutos.
Gerry Bruno è quello che si occupa di preparare gli arrangiamenti vocali: tra le canzoni riproposte dal gruppo ricordiamo Little Darling, Blue Moon, Summertime e molte altre, non tutte incise su disco.
Il successo
Vengono notati dall'impresario Aldo Zanfrognini che, ricercando nuovi talenti, ed avendo già fatto un provino ad Elio Piatti, Gianni Zullo ed Aldo Maccione, ha l'idea di unire i cinque e di scritturarli per la rivista Il teatro dei pazzi, che va in scena al teatro Alcione di corso Regina Margherita a Torino nel dicembre del 1958: le prime sere i cinque, ancora senza nome, vestiti con enormi pigiama a strisce bianconere, dicono poche battute, ma un giorno (su sollecitazione del loro impresario) hanno l'idea di far cantare una canzone romantica a Jack Guerrini, il bello della compagnia, mentre gli altri quattro, i brutti, fanno smorfie orribili e cori, storpiando il testo originale della canzone.
Il nome del complesso viene involontariamente inventato dalla donna delle pulizie dell'Alcione che, presentandosi alle dieci del mattino per adempiere ai suoi doveri quotidiani, incontrando i cinque stravolti dalla nottata in bianco, sbottò in un approssimato piemontese: «Ai sève tant simpatic ma ai sève anca tant brutt», che significa: "siete molto simpatici ma siete anche tanto brutti"): ed è cosi che quella stessa sera, sempre al Teatro Alcione di Torino, nascono I Brutos.
Gerry Bruno è quello che si occupa di preparare gli arrangiamenti vocali: tra le canzoni riproposte dal gruppo ricordiamo Little Darling, Blue Moon, Summertime e molte altre, non tutte incise su disco.
Il successo
Gerry Bruno e Jack Guerrini con Bruno Martino al "Rupe Tarpea" di Roma nel 1959
Il riscontro del pubblico torinese è immediato, e ben presto (grazie a Zanfrognini, che diventa il manager dei cinque) iniziano le esibizioni fuori dal Piemonte: la prima risale al 4 agosto del 1959, al Villafiorita, nota sala da ballo di Riccione, ma il vero lancio nazionale si ha due settimane dopo, al La Casina delle Rose a Villa Borghese in Roma, perché dopo questo spettacolo vengono contattati dalla Rai ed iniziano le esibizioni televisive.
Risale a questo periodo la nascita di una leggenda metropolitana, che se fosse stata vera sarebbe stata un episodio piuttosto increscioso: una gestante di Catanzaro, vedendoli in televisione, si sarebbe spaventata al punto da dover essere trasportata d'urgenza in ospedale. In realtà la voce era nata dalla fantasia di un cronista di un giornale locale, ma il suo articolo era stato poi ripreso con risalto dalla stampa nazionale.
In ogni caso, è l'inizio di un successo che presto oltrepassa i confini nazionali, grazie soprattutto alla mimica che supera l'ostacolo della lingua: Gerry Bruno si dipinge di nero tutti i denti tranne l'incisivo, dando l'impressione di avere solo quello, Gianni Zullo grazie alla sua notevole mimica facciale fa smorfie esilaranti, e gli altri componenti indossano abiti stravaganti, si sfrangiano i capelli alla Frankenstein o fanno gli occhi storti....tutti tranne uno, Jack, che diventa appunto Il bello dei Brutos.
Danno spesso spazio, nei loro spettacoli, all'improvvisazione, secondo quelli che sono i canoni della Commedia dell'Arte, in cui ogni personaggio rappresenta una maschera, un carattere peculiare, su cui si basa lo sviluppo del canovaccio.
In giro per il mondo
Il riscontro del pubblico torinese è immediato, e ben presto (grazie a Zanfrognini, che diventa il manager dei cinque) iniziano le esibizioni fuori dal Piemonte: la prima risale al 4 agosto del 1959, al Villafiorita, nota sala da ballo di Riccione, ma il vero lancio nazionale si ha due settimane dopo, al La Casina delle Rose a Villa Borghese in Roma, perché dopo questo spettacolo vengono contattati dalla Rai ed iniziano le esibizioni televisive.
Risale a questo periodo la nascita di una leggenda metropolitana, che se fosse stata vera sarebbe stata un episodio piuttosto increscioso: una gestante di Catanzaro, vedendoli in televisione, si sarebbe spaventata al punto da dover essere trasportata d'urgenza in ospedale. In realtà la voce era nata dalla fantasia di un cronista di un giornale locale, ma il suo articolo era stato poi ripreso con risalto dalla stampa nazionale.
In ogni caso, è l'inizio di un successo che presto oltrepassa i confini nazionali, grazie soprattutto alla mimica che supera l'ostacolo della lingua: Gerry Bruno si dipinge di nero tutti i denti tranne l'incisivo, dando l'impressione di avere solo quello, Gianni Zullo grazie alla sua notevole mimica facciale fa smorfie esilaranti, e gli altri componenti indossano abiti stravaganti, si sfrangiano i capelli alla Frankenstein o fanno gli occhi storti....tutti tranne uno, Jack, che diventa appunto Il bello dei Brutos.
Danno spesso spazio, nei loro spettacoli, all'improvvisazione, secondo quelli che sono i canoni della Commedia dell'Arte, in cui ogni personaggio rappresenta una maschera, un carattere peculiare, su cui si basa lo sviluppo del canovaccio.
In giro per il mondo
La consacrazione all'estero avviene dapprima in Francia, dove arrivano ad esibirsi all'Olympia di Parigi: la sera del debutto, in cui si esibiscono prima di George Brassens e Lola Flores, ricevono addirittura i complimenti di Charlie Chaplin, e nelle sere successive Jacques Tati, Marlene Dietrich ed Henri Salvador; ritorneranno all' Olympia negli anni seguenti per ben sette volte.
Dopo poco tempo debuttano anche oltreoceano: firmano infatti due contratti di sei mesi per esibizioni negli Stati Uniti accanto a Diana Dors, e vengono poi ospitati all'Ed Sullivan Show, il programma televisivo più popolare degli Stati Uniti (prima di loro l'unico italiano ad essere ospitato è stato Domenico Modugno); si esibiscono poi per tre mesi a Broadway, al Latin Quarter.
Seguono poi apparizioni televisive in tutto il mondo, in Europa, America Latina e in Asia (ad esclusione della Russia e della Cina).
A Città del Messico, prima di un'esibizione al locale la Fuente, deve addirittura intervenire la polizia per fermare gli spettatori che, non trovano più biglietti, volevano entrare ugualmente nel locale.
Anche in Italia continua il successo, e i Brutos iniziano anche a girare alcuni film di cui uno, nel 1964, come protagonisti assoluti: I magnifici Brutos del west.Inoltre per tre edizioni di Bussola on stage vengono chiamati da Sergio Bernardini a fianco di Peppino Di Capri.
Carosello
Dopo poco tempo debuttano anche oltreoceano: firmano infatti due contratti di sei mesi per esibizioni negli Stati Uniti accanto a Diana Dors, e vengono poi ospitati all'Ed Sullivan Show, il programma televisivo più popolare degli Stati Uniti (prima di loro l'unico italiano ad essere ospitato è stato Domenico Modugno); si esibiscono poi per tre mesi a Broadway, al Latin Quarter.
Seguono poi apparizioni televisive in tutto il mondo, in Europa, America Latina e in Asia (ad esclusione della Russia e della Cina).
A Città del Messico, prima di un'esibizione al locale la Fuente, deve addirittura intervenire la polizia per fermare gli spettatori che, non trovano più biglietti, volevano entrare ugualmente nel locale.
Anche in Italia continua il successo, e i Brutos iniziano anche a girare alcuni film di cui uno, nel 1964, come protagonisti assoluti: I magnifici Brutos del west.Inoltre per tre edizioni di Bussola on stage vengono chiamati da Sergio Bernardini a fianco di Peppino Di Capri.
Carosello
Nel 1964 vengono anche chiamati da una casa produttrice di cera per pavimenti, la Grey, per girare alcuni caroselli, realizzati dalla Vimder film; riscuoteranno moltissimo successo, specialmente tra i bambini, continuando per molti anni a girarli (anche dopo i cambi di formazione) e diventando una delle icone di Carosello.
L'impostazione dei filmati era caratterizzata dall'esecuzione di una canzone, durante la quale Gianni riceveva una serie di ceffoni...al termine del brano, lo slogan con cui un altro Brutos si rivolgeva a Zullo era: «Gianni, nonostante tutti gli schiaffi che hai preso, hai sempre una buona cera!», a cui seguiva la risposta:«Ottima direi, è cera Grey».
I cambiamenti nella formazione
L'impostazione dei filmati era caratterizzata dall'esecuzione di una canzone, durante la quale Gianni riceveva una serie di ceffoni...al termine del brano, lo slogan con cui un altro Brutos si rivolgeva a Zullo era: «Gianni, nonostante tutti gli schiaffi che hai preso, hai sempre una buona cera!», a cui seguiva la risposta:«Ottima direi, è cera Grey».
I cambiamenti nella formazione
Alla metà degli anni sessanta iniziano i primi cambiamenti nella formazione: per motivi familiari Elio Piatti deve abbandonare il gruppo ed è sostituito da Umberto Di Dario, amico del gruppo che fino a quel momento non ha mai avuto velleità artistiche ma che si integra subito con gli altri Brutos; anche lui in seguito abbandona l'attività artistica, ed è sostituito da altri elementi fino a quello definitivo, Dino Cassio, che resterà in pianta stabile nella formazione.
Dopo qualche tempo anche Jack Guerrini lascia il gruppo per intraprendere la carriera di cantante solista ma con scarso successo, seguito da Aldo Maccione che decide di mettersi "in proprio" creando in Spagna un altro gruppo di cantanti-comici denominato Los Tontos, ed in seguito avrà miglior fortuna come attore di cinema nella vicina Francia; Maccione viene sostituito dapprima da Dante Cleri (che però esce dal gruppo e forma i Ciranos), poi da Tino Cervi, a sua volta sostituito da Alvaro Alvisi: quando anche lui abbandona i 'Brutos, il gruppo prosegue l'attività in quattro.
Guerrini invece viene sostituito come voce solista da Alfonso "Nat" Pioppi, che rimarrà in pianta stabile nel gruppo; dopo alcune esperienze negative in Francia, ritornato a Torino, Guerrini muore alle ore 01.30 del 16 marzo 1970 in seguito ad un incidente stradale, finendo sotto un TIR fermo parcheggiato nei pressi della sua abitazione, in via Giordano Bruno a Torino.
Nel 1970 il gruppo ha un momento di arresto dell'attività, fondamentalmente per due motivi: il primo è che Gerry Bruno viene chiamato da Garinei e Giovannini per recitare in Alleluia brava gente, commedia musicale con musiche di Domenico Modugno (un'occasione professionalmente molto importante, da cui partirà la sua carriera come solista), ed il secondo è la scomparsa del manager Aldo Zanfrognini, a seguito di una banale caduta.
I rimanenti componenti del gruppo, con l'introduzione di alcuni altri elementi, tra cui Cesare Benini prima, Fulvio Pastore poi e, in seguito, il figlio di Gianni, Massimo Zullo, per alcune stagioni effettueranno ancora qualche spettacolo e incideranno qualche 45 giri.
Da ricordare è nel 1971 la partecipazione al Festival di Napoli con la canzone Uffà, nun me scuccià, presentata in coppia con Gloriana.
1992: il ritorno
Dopo qualche tempo anche Jack Guerrini lascia il gruppo per intraprendere la carriera di cantante solista ma con scarso successo, seguito da Aldo Maccione che decide di mettersi "in proprio" creando in Spagna un altro gruppo di cantanti-comici denominato Los Tontos, ed in seguito avrà miglior fortuna come attore di cinema nella vicina Francia; Maccione viene sostituito dapprima da Dante Cleri (che però esce dal gruppo e forma i Ciranos), poi da Tino Cervi, a sua volta sostituito da Alvaro Alvisi: quando anche lui abbandona i 'Brutos, il gruppo prosegue l'attività in quattro.
Guerrini invece viene sostituito come voce solista da Alfonso "Nat" Pioppi, che rimarrà in pianta stabile nel gruppo; dopo alcune esperienze negative in Francia, ritornato a Torino, Guerrini muore alle ore 01.30 del 16 marzo 1970 in seguito ad un incidente stradale, finendo sotto un TIR fermo parcheggiato nei pressi della sua abitazione, in via Giordano Bruno a Torino.
Nel 1970 il gruppo ha un momento di arresto dell'attività, fondamentalmente per due motivi: il primo è che Gerry Bruno viene chiamato da Garinei e Giovannini per recitare in Alleluia brava gente, commedia musicale con musiche di Domenico Modugno (un'occasione professionalmente molto importante, da cui partirà la sua carriera come solista), ed il secondo è la scomparsa del manager Aldo Zanfrognini, a seguito di una banale caduta.
I rimanenti componenti del gruppo, con l'introduzione di alcuni altri elementi, tra cui Cesare Benini prima, Fulvio Pastore poi e, in seguito, il figlio di Gianni, Massimo Zullo, per alcune stagioni effettueranno ancora qualche spettacolo e incideranno qualche 45 giri.
Da ricordare è nel 1971 la partecipazione al Festival di Napoli con la canzone Uffà, nun me scuccià, presentata in coppia con Gloriana.
1992: il ritorno
Nel 1992 Antonio Ricci, in occasione di un'edizione del programma televisivo Paperissima in onda su Canale 5, condotta da Ezio Greggio, ricontatta i Brutos, che accettano di ricostituirsi, partecipando così a trenta puntate del programma.
A seguito di ciò, ricomincia per il gruppo una nuova carriera, fatta di serate e di apparizioni televisive: nel 1997 sono chiamati da Marco Giusti come ospiti fissi della trasmissione Carosello, dedicata al celebre programma e condotta da Ambra Angiolini, mentre due anni dopo il loro concittadino Piero Chiambretti li vuole per Fenomeni, in onda su Rai 3.
Nel 2000 sono inviati speciali per Quelli che il calcio di Fabio Fazio, e nel 2002 sono chiamati da Pippo Baudo per quella che è la loro ultima apparizione televisiva, nel programma 900, su Rai 3.
Il 17 maggio 2005 muore, ad ottantacinque anni, Gianni Zullo, quello che prendeva gli schiaffi. I restanti componenti non hanno sciolto la formazione e, nonostante gli anni passati, sono ancora pronti per ritornare ad esibirsi: Bruno vive a Milano, continuando a lavorare nel mondo dello spettacolo, Dino Cassio vive a Roma e Nat Pioppi a Boretto, nei pressi di Reggio Emilia.
A seguito di ciò, ricomincia per il gruppo una nuova carriera, fatta di serate e di apparizioni televisive: nel 1997 sono chiamati da Marco Giusti come ospiti fissi della trasmissione Carosello, dedicata al celebre programma e condotta da Ambra Angiolini, mentre due anni dopo il loro concittadino Piero Chiambretti li vuole per Fenomeni, in onda su Rai 3.
Nel 2000 sono inviati speciali per Quelli che il calcio di Fabio Fazio, e nel 2002 sono chiamati da Pippo Baudo per quella che è la loro ultima apparizione televisiva, nel programma 900, su Rai 3.
Il 17 maggio 2005 muore, ad ottantacinque anni, Gianni Zullo, quello che prendeva gli schiaffi. I restanti componenti non hanno sciolto la formazione e, nonostante gli anni passati, sono ancora pronti per ritornare ad esibirsi: Bruno vive a Milano, continuando a lavorare nel mondo dello spettacolo, Dino Cassio vive a Roma e Nat Pioppi a Boretto, nei pressi di Reggio Emilia.
Erminio Macario
Quel bizzarro ciuffetto
Macario è ricordato, oltre che per la propria indiscussa bravura, anche per il caratteristico ciuffetto di capelli svolazzante, adottato dopo che un altro grande del teatro di rivista - Ettore Petrolini - gli sconsigliò di ricorrere, come fino ad allora faceva, a parrucche e nasi finti con l'intento di far ridere.Macario prese in parola il maestro: smise gli orpelli e, forte di un volto naturalmente regolare ed ovale, aggiunse il tocco che lo avrebbe reso indimenticabile.
Macario ebbe in comune con i grandi comici suoi contemporanei tre caratteristiche: la precocità, l'indigenza familiare e la vocazione.
Macario è ricordato, oltre che per la propria indiscussa bravura, anche per il caratteristico ciuffetto di capelli svolazzante, adottato dopo che un altro grande del teatro di rivista - Ettore Petrolini - gli sconsigliò di ricorrere, come fino ad allora faceva, a parrucche e nasi finti con l'intento di far ridere.Macario prese in parola il maestro: smise gli orpelli e, forte di un volto naturalmente regolare ed ovale, aggiunse il tocco che lo avrebbe reso indimenticabile.
Macario ebbe in comune con i grandi comici suoi contemporanei tre caratteristiche: la precocità, l'indigenza familiare e la vocazione.
L'esordio
Nato da una famiglia molto povera, il piccolo Erminio inizia a recitare fin da bambino nella filodrammatica della scuola, presto interrotta per lavorare ed aiutare la famiglia. Fra un mestiere e l'altro, a 18 anni entra in una compagnia di "scavalcamontagne" - termine con cui erano definite nel piemontese le formazioni di paese che rappresentavano drammi e farse nei giorni di fiera.
Nel 1921 esordisce ufficialmente nel teatro di prosa. Nel 1924 passa a quello di varietà con una scritturazione nella compagnia di "balli e pantomime" di Giovanni Molasso. Il suo debutto con il ruolo di "secondo comico" fu al "Teatro Romano" di Torino con le riviste "Sei solo stasera" e "Senza complimenti". Dal Settembre 1924, fu poi a Milano con "Il pupo giallo" e "Vengo con questa mia" di Piero Mazzuccato, seguite nel 1925 da "Tam-Tam" di Carlo Rota e "Arcobaleno" di Mazzuccato e Veneziani.
Per Macario, oltre che un salto di professionalità, è stata l'occasione per apprendere e sviluppare la sua naturale inclinazione all'arte mimica. Il suo fisico esile e la naturale scioltezza nei movimenti contribuiscono a far pensare che l'anno con Molasso abbia consegnato alla scena italiana un potenziale mimo, che potrebbe dirsi di scuola francese.
Gli anni venti
Nato da una famiglia molto povera, il piccolo Erminio inizia a recitare fin da bambino nella filodrammatica della scuola, presto interrotta per lavorare ed aiutare la famiglia. Fra un mestiere e l'altro, a 18 anni entra in una compagnia di "scavalcamontagne" - termine con cui erano definite nel piemontese le formazioni di paese che rappresentavano drammi e farse nei giorni di fiera.
Nel 1921 esordisce ufficialmente nel teatro di prosa. Nel 1924 passa a quello di varietà con una scritturazione nella compagnia di "balli e pantomime" di Giovanni Molasso. Il suo debutto con il ruolo di "secondo comico" fu al "Teatro Romano" di Torino con le riviste "Sei solo stasera" e "Senza complimenti". Dal Settembre 1924, fu poi a Milano con "Il pupo giallo" e "Vengo con questa mia" di Piero Mazzuccato, seguite nel 1925 da "Tam-Tam" di Carlo Rota e "Arcobaleno" di Mazzuccato e Veneziani.
Per Macario, oltre che un salto di professionalità, è stata l'occasione per apprendere e sviluppare la sua naturale inclinazione all'arte mimica. Il suo fisico esile e la naturale scioltezza nei movimenti contribuiscono a far pensare che l'anno con Molasso abbia consegnato alla scena italiana un potenziale mimo, che potrebbe dirsi di scuola francese.
Gli anni venti
Macario, prima che un mimo tuttavia, intendeva essere un comico. Il primo, grande salto in tal senso lo fa nel 1925, quando la famosissima soubrette Isa Bluette lo nota e lo scrittura nella sua compagnia come "comico grottesco". Il giovane comico piemontese entra dunque nel "giro buono" del teatro italiano, esordendo nella sua Torino con "Valigia delle indie", di Ripp e Bel-Ami.
Gradatamente Macario costruisce una comicità personale, fatta di una maschera clownesca le cui caratteristiche più appariscenti erano un ciuffo di capelli sulla fronte, gli occhi arrotondati e la camminata ciondolante. Ma intuisce anche che il successo di uno spettacolo dipendeva soprattutto nella presenza sulla scena di donne avvenenti e soprattutto dalle gambe lunghe. Il comico era ben consapevole dell'efficacia del contrasto tra il candore e la semplicità della propria maschera e il sottinteso erotico delle belle soubrettes che lo affiancavano sulla ribalta, sfilando vestite in maniera "minimale", in una nuvola di cipria e di felicità per la gioia degli sguardi del pubblico.
Macario rimane con Isa Bluette per quattro anni, acquistando via via sempre maggior notorietà e guadagnandosi prima il titolo di "comico" e finalmente il nome "in ditta" (1929). Sempre nel 1929 firma la sua prima rivista come autore, Paese che vai, in collaborazione con Chiappo.
Il "Re della rivista"
Gradatamente Macario costruisce una comicità personale, fatta di una maschera clownesca le cui caratteristiche più appariscenti erano un ciuffo di capelli sulla fronte, gli occhi arrotondati e la camminata ciondolante. Ma intuisce anche che il successo di uno spettacolo dipendeva soprattutto nella presenza sulla scena di donne avvenenti e soprattutto dalle gambe lunghe. Il comico era ben consapevole dell'efficacia del contrasto tra il candore e la semplicità della propria maschera e il sottinteso erotico delle belle soubrettes che lo affiancavano sulla ribalta, sfilando vestite in maniera "minimale", in una nuvola di cipria e di felicità per la gioia degli sguardi del pubblico.
Macario rimane con Isa Bluette per quattro anni, acquistando via via sempre maggior notorietà e guadagnandosi prima il titolo di "comico" e finalmente il nome "in ditta" (1929). Sempre nel 1929 firma la sua prima rivista come autore, Paese che vai, in collaborazione con Chiappo.
Il "Re della rivista"
Nel 1930 si sente pronto per un altro importante passo: la fondazione di una sua compagnia teatrale, con la quale girerà l'Italia dal 1930 al 1935. Tranne qualche escursione nell'avanspettacolo, la compagnia di Macario rimarrà una delle compagnie di rivista più longeve del teatro italiano, con i suoi trenta anni di attività. Nel 1936 lo troviamo insieme ad Hilda Springher ed Enzo Turco in una serie di riviste di Bel-Ami. Nel 1937 scrittura Wanda Osiris, con cui costituisce la coppia più famosa degli spettacoli di genere. Sarà proprio la coppia Macario-Osiris a mettere in scena una delle prime commedie musicali italiane, "Piroscafo giallo" di Macario, Ripp e Bel-Ami.
A partire dal 1937 Macario ogni anno presenta una nuova rivista con sempre nuove fanciulle, tra cui attrici bellissime e brillanti (che scrittura in sostituzione delle ballerine, nel tentativo di innovare il genere). Tra le tante attrici lanciate da Macario si ricordano Tina De Mola, Olga Villi, Isa Barzizza, le sorelle Nava (Pinuccia, Diana, Lisetta e Tonini), Elena Giusti, Lily Granado, Marisa Maresca, Lauretta Masiero, Dorian Gray, Flora Lillo, Marisa Del Frate, Lucy D'Albert, Valeria Fabrizi, Sandra Mondaini e Lea Padovani, apprezzata in seguito come attrice cinematografica.
Nel 1938 nasce il grande amore per la bellissima sedicenne Giulia Dardanelli, che ben presto diventa la sua seconda moglie (il comico era già sposato da tempo con la coreografa Maria Giuliano, ma fece di tutto per ottenere il divorzio). Nel 1951, a Parigi, Macario e la Dardanelli si sposano in occasione della rappresentazione della rivista "Votate per Venere". Intanto, dalla loro unione erano già nati due bambini, Alberto (1943) e Mauro (nato nel 1947 e che diverrà poeta e scrittore, nonché biografo del padre).
Grazie alle sue rilevanti doti sceniche e mimiche, ad una comicità giocata sul clownesco e sul nonsense, nonché grazie alla presenza di un sempre sostenuto numero di procaci e sfavillanti soubrettes, in breve tempo Macario diventa il protagonista più famoso della rivista italiana, tanto da essere consacrato come il "Re della rivista". I suoi spettacoli, a parte la sua comicità, restano esemplari per la ricchezza delle scene, i costumi sfarzosi, le musiche brillanti e soprattutto per il numero di gambe femminili (sempre raddoppiato) che costituivano il suo corpo di ballo. Ciò che colpiva lo spettatore in misura maggiore era senz'altro quella sorta di miscela di sensualità e comicità farsesca, dai contorni spesso astratti e surreali, di cui sono sempre stati intrisi i suoi spettacoli.
Dalla rivista alla commedia musicale
A partire dal 1937 Macario ogni anno presenta una nuova rivista con sempre nuove fanciulle, tra cui attrici bellissime e brillanti (che scrittura in sostituzione delle ballerine, nel tentativo di innovare il genere). Tra le tante attrici lanciate da Macario si ricordano Tina De Mola, Olga Villi, Isa Barzizza, le sorelle Nava (Pinuccia, Diana, Lisetta e Tonini), Elena Giusti, Lily Granado, Marisa Maresca, Lauretta Masiero, Dorian Gray, Flora Lillo, Marisa Del Frate, Lucy D'Albert, Valeria Fabrizi, Sandra Mondaini e Lea Padovani, apprezzata in seguito come attrice cinematografica.
Nel 1938 nasce il grande amore per la bellissima sedicenne Giulia Dardanelli, che ben presto diventa la sua seconda moglie (il comico era già sposato da tempo con la coreografa Maria Giuliano, ma fece di tutto per ottenere il divorzio). Nel 1951, a Parigi, Macario e la Dardanelli si sposano in occasione della rappresentazione della rivista "Votate per Venere". Intanto, dalla loro unione erano già nati due bambini, Alberto (1943) e Mauro (nato nel 1947 e che diverrà poeta e scrittore, nonché biografo del padre).
Grazie alle sue rilevanti doti sceniche e mimiche, ad una comicità giocata sul clownesco e sul nonsense, nonché grazie alla presenza di un sempre sostenuto numero di procaci e sfavillanti soubrettes, in breve tempo Macario diventa il protagonista più famoso della rivista italiana, tanto da essere consacrato come il "Re della rivista". I suoi spettacoli, a parte la sua comicità, restano esemplari per la ricchezza delle scene, i costumi sfarzosi, le musiche brillanti e soprattutto per il numero di gambe femminili (sempre raddoppiato) che costituivano il suo corpo di ballo. Ciò che colpiva lo spettatore in misura maggiore era senz'altro quella sorta di miscela di sensualità e comicità farsesca, dai contorni spesso astratti e surreali, di cui sono sempre stati intrisi i suoi spettacoli.
Dalla rivista alla commedia musicale
Per tutti gli anni quaranta Macario prosegue la sua attività in teatro, sfornando un successo dietro l'altro. Memorabili restano le riviste "Amleto, che ne dici?" (1944), "Febbre azzurra" (1944-45), "Follie d'Amleto" (1946), "Le educande di San Babila" (1948), "Ocklabama" (1949) e "La bisbetica sognata" (1950). Nel 1951, una tournée trionfale in Francia con la sontuosa rivista femminile "Votate per Venere" è suggellata dalla presenza fra il pubblico parigino delle più note personalità d'Oltralpe. Si narra che il Presidente francese Charles De Gaulle avesse imposto che l'attore fosse scortato da corazzieri in alta uniforme.
Dalla metà degli anni cinquanta, tuttavia, le riviste cedono il posto alle nuove commedie musicali, mentre si affermano nuovi gusti e tendenze. Dopo il record di incassi raggiunto con "Made in Italy" (1953, che segna anche il suo ritorno in coppia con la "divina" Wanda Osiris) e "Tutte donne meno io" (1955, in cui Macario era l'unico uomo circondato da ben quaranta "donnine"), il comico piemontese si dedica alla commedia musicale.
Accanto a grandissime primedonne quali Sandra Mondaini e Marisa Del Frate, realizza indimenticabili spettacoli come "L'uomo si conquista la domenica" (1955), "Non sparate alla cicogna"' (1957) di Maccari e Mario Amendola, "E tu, biondina" (1957) e "Chiamate Arturo 777" (1958) di Corbucci e Grimaldi.
I primi successi cinematografici
Dalla metà degli anni cinquanta, tuttavia, le riviste cedono il posto alle nuove commedie musicali, mentre si affermano nuovi gusti e tendenze. Dopo il record di incassi raggiunto con "Made in Italy" (1953, che segna anche il suo ritorno in coppia con la "divina" Wanda Osiris) e "Tutte donne meno io" (1955, in cui Macario era l'unico uomo circondato da ben quaranta "donnine"), il comico piemontese si dedica alla commedia musicale.
Accanto a grandissime primedonne quali Sandra Mondaini e Marisa Del Frate, realizza indimenticabili spettacoli come "L'uomo si conquista la domenica" (1955), "Non sparate alla cicogna"' (1957) di Maccari e Mario Amendola, "E tu, biondina" (1957) e "Chiamate Arturo 777" (1958) di Corbucci e Grimaldi.
I primi successi cinematografici
« Mi dicono che io facevo Ionesco quando Ionesco quasi non era nato, e d'altronde io lo so... sono sempre stato un po' lunare »
(Macario)
Parallelamente al teatro, nei primi anni trenta Macario inizia a recitare anche per il cinema. Esordisce nel 1933 con il film Aria di paese (di cui firma anche la sceneggiatura), che si rivelerà una esperienza poco fortunata.
Il secondo tentativo, Imputato, alzatevi! (1939, regia di Mario Mattoli e soggetto di Vittorio Metz e Marcello Marchesi), invece avrà molto più successo. Forse proprio con questo film, per la prima volta nella storia del cinema italiano, si può parlare di comicità surreale.
Seguirono poi, in una ideale trilogia dei tempi del fascismo, i film Lo vedi come sei? (1939), Il pirata sono io! (1940) e Non me lo dire! (1940).
Al cinema Macario arriva con tutte le caratteristiche fisiche ed espressive già largamente sperimentate a teatro, costruendo un personaggio semplice e ingenuo, talvolta malinconico ma sempre ottimista e fiducioso. Si impone con il suo viso infantile, gli occhi rotondi spalancati e mobilissimi e il suo immancabile ricciolo a virgola, a cui si aggiunge la dizione incerta e marcatamente influenzata dalla lingua piemontese.
Il successo sul grande schermo continua ad arridergli fino all'inizio degli anni cinquanta, prima con il campione di incassi Come persi la guerra (1947) e poi con L'eroe della strada (1948) e Come scopersi l'America (1949). La sua formula spettacolare, tuttavia, restava sempre più adatta al teatro di rivista e alla commedia musicale, che esaltavano la sua candida e innocente maschera attraverso le "prepotenze" sulla sua fedele spalla Carlo Rizzo e soprattutto attraverso il sottinteso erotico delle sue "donnine".
Gli anni cinquanta e sessanta
(Macario)
Parallelamente al teatro, nei primi anni trenta Macario inizia a recitare anche per il cinema. Esordisce nel 1933 con il film Aria di paese (di cui firma anche la sceneggiatura), che si rivelerà una esperienza poco fortunata.
Il secondo tentativo, Imputato, alzatevi! (1939, regia di Mario Mattoli e soggetto di Vittorio Metz e Marcello Marchesi), invece avrà molto più successo. Forse proprio con questo film, per la prima volta nella storia del cinema italiano, si può parlare di comicità surreale.
Seguirono poi, in una ideale trilogia dei tempi del fascismo, i film Lo vedi come sei? (1939), Il pirata sono io! (1940) e Non me lo dire! (1940).
Al cinema Macario arriva con tutte le caratteristiche fisiche ed espressive già largamente sperimentate a teatro, costruendo un personaggio semplice e ingenuo, talvolta malinconico ma sempre ottimista e fiducioso. Si impone con il suo viso infantile, gli occhi rotondi spalancati e mobilissimi e il suo immancabile ricciolo a virgola, a cui si aggiunge la dizione incerta e marcatamente influenzata dalla lingua piemontese.
Il successo sul grande schermo continua ad arridergli fino all'inizio degli anni cinquanta, prima con il campione di incassi Come persi la guerra (1947) e poi con L'eroe della strada (1948) e Come scopersi l'America (1949). La sua formula spettacolare, tuttavia, restava sempre più adatta al teatro di rivista e alla commedia musicale, che esaltavano la sua candida e innocente maschera attraverso le "prepotenze" sulla sua fedele spalla Carlo Rizzo e soprattutto attraverso il sottinteso erotico delle sue "donnine".
Gli anni cinquanta e sessanta
Tornato a Roma, Macario tenta di estendere le sue attività teatrali alla produzione cinematografica, realizzando il film Io, Amleto (1952). Il film si rivelerà essere un disastro, ma nonostante le forti perdite l'artista non si da per vinto e con le sue riviste successive continua a riscuotere un grande successo di pubblico e di botteghino. Successivamente Macario prende parte a molti altri film, senza esserne più però il protagonista assoluto, tranne in rari e sporadici tentativi che non sortiscono il seguito sperato.
Nel 1957, il regista e scrittore Mario Soldati lo vuole per il suo Italia piccola per un ruolo drammatico. Seppure inconsueto, Macario offre una prova eccellente e dimostra ancora una volta notevole versatilità. Dal 1959 al 1963 recita ben sei film con il suo grande amico Totò: La cambiale (1959), Totò di notte n. 1 (1962), Lo smemorato di Collegno (1962), Totò contro i quattro (1963), Il monaco di Monza (1963) e Totò sexy (1963).
In questi film (alcuni dei quali di non eccelsa qualità), Macario paga molto volentieri il tributo a "Sua Maestà" Totò, ponendosi al suo servizio sul set. Fu proprio il grande attore napoletano, che già cominciava a soffrire i primi problemi alla vista, ad esprimere il desiderio di avere al suo fianco Macario, amico fidato con cui stabilire in totale tranquillità i tempi delle battute e delle gag. Il risultato ottenuto è una serie di duetti impareggiabili, con un Totò ancora più irruente di fronte al tipico balbettìo di Macario.
Gli anni settanta
Nel 1957, il regista e scrittore Mario Soldati lo vuole per il suo Italia piccola per un ruolo drammatico. Seppure inconsueto, Macario offre una prova eccellente e dimostra ancora una volta notevole versatilità. Dal 1959 al 1963 recita ben sei film con il suo grande amico Totò: La cambiale (1959), Totò di notte n. 1 (1962), Lo smemorato di Collegno (1962), Totò contro i quattro (1963), Il monaco di Monza (1963) e Totò sexy (1963).
In questi film (alcuni dei quali di non eccelsa qualità), Macario paga molto volentieri il tributo a "Sua Maestà" Totò, ponendosi al suo servizio sul set. Fu proprio il grande attore napoletano, che già cominciava a soffrire i primi problemi alla vista, ad esprimere il desiderio di avere al suo fianco Macario, amico fidato con cui stabilire in totale tranquillità i tempi delle battute e delle gag. Il risultato ottenuto è una serie di duetti impareggiabili, con un Totò ancora più irruente di fronte al tipico balbettìo di Macario.
Gli anni settanta
Abbandonata la rivista, Macario si dedica soprattutto al teatro di prosa, distinguendosi anche in ruoli drammatici e facendo qualche incursione nel teatro in lingua piemontese. Anche qui ottiene un grande successo con una rivisitazione del famoso testo piemontese Miserie 'd Monssù Travet, messo in scena allo Stabile di Torino nel 1970.
Gli anni settanta, in cui Macario si dedica alla trasposizione televisiva di alcune sue commedie di successo, sono ricchi di impegno nel campo della prosa e della commedia musicale. Fra i numerosi lavori di quel periodo, sono da ricordare Achille Ciabotto medico condotto (1971-72), Carlin Ceruti sarto per tuti (1974), il film Il piatto piange (1974) di Paolo Nuzzi e Due sul pianerottolo (1975-76), grandissimo successo a teatro accanto a Rita Pavone (da cui nel 1976 fu ricavato l'omonimo film di Mario Amendola, il quarantesimo ed ultimo interpretato da Macario).
Negli ultimi anni della sua vita, l'attore torinese si impegna nella realizzazione del suo teatro, La Bomboniera (Torino), che inaugura nel 1977 con una esilarante rivisitazione della commedia di Molière Il medico per forza. La scelta del titolo non è del tutto casuale: Macario aveva infatti da tempo espresso il desiderio di poter recitare Molière in un teatro tutto suo.
In televisione fu tra i protagonisti di Carosello, fino al suo congedo che avviene nel 1978. Nel 1974 fu protagonista della puntata di Milleluci, con Mina e Raffaella Carrà, dedicata al genere del varietà. Nel 1975 è protagonista di un varietà in televisione, Macario uno e due. Nel 1978 la Rai gli tributa un altro varietà, Macario più, sei puntate tra prosa e rivista in cui l'attore ripercorre le tappe della sua lunga carriera all'insegna di un umorismo gentile, immediato e popolare.
La fine
Gli anni settanta, in cui Macario si dedica alla trasposizione televisiva di alcune sue commedie di successo, sono ricchi di impegno nel campo della prosa e della commedia musicale. Fra i numerosi lavori di quel periodo, sono da ricordare Achille Ciabotto medico condotto (1971-72), Carlin Ceruti sarto per tuti (1974), il film Il piatto piange (1974) di Paolo Nuzzi e Due sul pianerottolo (1975-76), grandissimo successo a teatro accanto a Rita Pavone (da cui nel 1976 fu ricavato l'omonimo film di Mario Amendola, il quarantesimo ed ultimo interpretato da Macario).
Negli ultimi anni della sua vita, l'attore torinese si impegna nella realizzazione del suo teatro, La Bomboniera (Torino), che inaugura nel 1977 con una esilarante rivisitazione della commedia di Molière Il medico per forza. La scelta del titolo non è del tutto casuale: Macario aveva infatti da tempo espresso il desiderio di poter recitare Molière in un teatro tutto suo.
In televisione fu tra i protagonisti di Carosello, fino al suo congedo che avviene nel 1978. Nel 1974 fu protagonista della puntata di Milleluci, con Mina e Raffaella Carrà, dedicata al genere del varietà. Nel 1975 è protagonista di un varietà in televisione, Macario uno e due. Nel 1978 la Rai gli tributa un altro varietà, Macario più, sei puntate tra prosa e rivista in cui l'attore ripercorre le tappe della sua lunga carriera all'insegna di un umorismo gentile, immediato e popolare.
La fine
Durante l'ultima replica della sua ultima fatica teatrale, Oplà, giochiamo insieme, Macario accusa un malessere che si scoprirà essere un sintomo di un tumore. Il 26 marzo 1980, Erminio Macario si spegne in una clinica torinese all'età di 77 anni, assistito fino all'ultimo dall'amata moglie in seconde nozze Giulia Dardanelli.
Lia Zoppelli
Debutta in teatro a 18 anni con la compagnia Cimara-Maltagliati-Ninchi e prosegue l'attività durante e dopo la guerra al fianco di interpreti di prestigio quali Ruggero Ruggeri, Memo Benassi, Sarah Ferrati, Tino Carraro. Viene diretta da Luchino Visconti in Il matrimonio di Figaro (1946) e successivamente fonda una sua compagnia con Ernesto Calindri, Franco Volpi e Valeria Valeri. Nel 1951 è diretta da Mario Ferrero per la prima italiana di The Cocktail Party di T.S. Eliot. Viene poi scelta da Garinei e Giovannini per la commedia musicale Giove in doppio petto, in cui recita con Carlo Dapporto.
Al cinema interpreta soprattutto ruoli leggeri e brillanti in commedie all'italiana, molte delle quali hanno come protagonista Totò, e in alcune pellicole di genere mitologico o musicale.
In televisione la vediamo prendere parte, a partire dai primi anni sessanta, a "romanzi sceneggiati" quali Tom Jones (1960), I Giacobini di Federico Zardi e regia di Edmo Fenoglio, Addio giovinezza! (1962), L'allodola di Jean Anouilh e Tredici a tavola di Sauvajon (1973) e a numerosi lavori di prosa andati in onda per la serie La prosa del venerdì, quali Mancia competente (1957) e Affari di stato (1961).
Sono frequenti anche le sue partecipazioni a miniserie poliziesche (Paura per Janet, alcuni episodi de Il Tenente Sheridan e Il Commissario De Vincenzi) e a spettacoli leggeri, quali Gente che va, gente che viene (1960), Za-bum e Biblioteca di Studio Uno (1964), Galà per Johnny Dorelli (1968).
Malgrado la grande quantità di lavori ai quali ha partecipato, il personaggio che le ha dato maggiore popolarità è sicuramente quello interpretato negli spot pubblicitari di Carosello tra il 1957 e il 1965 per Alemagna al fianco di Enrico Viarisio e Alberto Lionello, che si concludevano immancabilmente con lo slogan Ullallà, è una cuccagna!
Al cinema interpreta soprattutto ruoli leggeri e brillanti in commedie all'italiana, molte delle quali hanno come protagonista Totò, e in alcune pellicole di genere mitologico o musicale.
In televisione la vediamo prendere parte, a partire dai primi anni sessanta, a "romanzi sceneggiati" quali Tom Jones (1960), I Giacobini di Federico Zardi e regia di Edmo Fenoglio, Addio giovinezza! (1962), L'allodola di Jean Anouilh e Tredici a tavola di Sauvajon (1973) e a numerosi lavori di prosa andati in onda per la serie La prosa del venerdì, quali Mancia competente (1957) e Affari di stato (1961).
Sono frequenti anche le sue partecipazioni a miniserie poliziesche (Paura per Janet, alcuni episodi de Il Tenente Sheridan e Il Commissario De Vincenzi) e a spettacoli leggeri, quali Gente che va, gente che viene (1960), Za-bum e Biblioteca di Studio Uno (1964), Galà per Johnny Dorelli (1968).
Malgrado la grande quantità di lavori ai quali ha partecipato, il personaggio che le ha dato maggiore popolarità è sicuramente quello interpretato negli spot pubblicitari di Carosello tra il 1957 e il 1965 per Alemagna al fianco di Enrico Viarisio e Alberto Lionello, che si concludevano immancabilmente con lo slogan Ullallà, è una cuccagna!
23.12.10
crema spalmabile piemontese
L'origine della Nutella è legata al cioccolato Gianduia, che contiene pasta di nocciole. Il Gianduia prese piede in Piemonte nel momento in cui le tasse eccessive sull'importazione dei semi di cacao cominciarono a scoraggiare la diffusione del cioccolato convenzionale. Pietro Ferrero possedeva una pasticceria ad Alba, nelle Langhe, area nota per la produzione di nocciole. Nel 1946 vendette il primo lotto costituito da 300 chili di "Pasta Giandujot". Si trattava di una pasta di cioccolato e nocciole, venduta in blocchi da taglio. Nel 1951 nasceva invece la Supercrema, conserva vegetale venduta in grandi barattoli.
Nel 1963, Michele Ferrero, figlio di Pietro, decise di rinnovare la Supercrema, con l'intenzione di commercializzarla in tutta Europa. La composizione venne modificata, così come l'etichetta e il nome: la parola "Nutella" (basata sull'inglese "nut", "nocciola"), e il logo vennero registrati verso la fine dello stesso anno, e restano immutati fino ad oggi.
Il primo vaso di Nutella uscì dalla fabbrica di Alba il 20 aprile del 1964. Il prodotto ebbe successo istantaneo, e rimane oggi estremamente popolare e ricordato con affetto in romanzi, canzoni e opere cinematografiche.
Nel giugno del 2010 il Parlamento Europeo ha approvato una normativa in base alla quale tutti gli alimenti contenenti molti grassi e zuccheri devono inserire nella loro etichetta l'avviso del "miglior profilo nutrizionale". L'iniziativa, volta a combattere l'obesità offrendo più informazione ai consumatori, è stata criticata dal vicepresidente della Ferrero SpA Francesco Paolo Fulci che ha creato il comitato "Giù le mani dalla Nutella", sostenuto dalla regione Piemonte e dal ministro per le Politiche Europee Andrea Ronchi che ha invitato l'Unione Europea a non cadere nel "fondamentalismo nutrizionista"
Nel 1963, Michele Ferrero, figlio di Pietro, decise di rinnovare la Supercrema, con l'intenzione di commercializzarla in tutta Europa. La composizione venne modificata, così come l'etichetta e il nome: la parola "Nutella" (basata sull'inglese "nut", "nocciola"), e il logo vennero registrati verso la fine dello stesso anno, e restano immutati fino ad oggi.
Il primo vaso di Nutella uscì dalla fabbrica di Alba il 20 aprile del 1964. Il prodotto ebbe successo istantaneo, e rimane oggi estremamente popolare e ricordato con affetto in romanzi, canzoni e opere cinematografiche.
Nel giugno del 2010 il Parlamento Europeo ha approvato una normativa in base alla quale tutti gli alimenti contenenti molti grassi e zuccheri devono inserire nella loro etichetta l'avviso del "miglior profilo nutrizionale". L'iniziativa, volta a combattere l'obesità offrendo più informazione ai consumatori, è stata criticata dal vicepresidente della Ferrero SpA Francesco Paolo Fulci che ha creato il comitato "Giù le mani dalla Nutella", sostenuto dalla regione Piemonte e dal ministro per le Politiche Europee Andrea Ronchi che ha invitato l'Unione Europea a non cadere nel "fondamentalismo nutrizionista"
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