24.12.10

Erminio Macario





Quel bizzarro ciuffetto
Macario è ricordato, oltre che per la propria indiscussa bravura, anche per il caratteristico ciuffetto di capelli svolazzante, adottato dopo che un altro grande del teatro di rivista - Ettore Petrolini - gli sconsigliò di ricorrere, come fino ad allora faceva, a parrucche e nasi finti con l'intento di far ridere.Macario prese in parola il maestro: smise gli orpelli e, forte di un volto naturalmente regolare ed ovale, aggiunse il tocco che lo avrebbe reso indimenticabile.
Macario ebbe in comune con i grandi comici suoi contemporanei tre caratteristiche: la precocità, l'indigenza familiare e la vocazione.

L'esordio
Nato da una famiglia molto povera, il piccolo Erminio inizia a recitare fin da bambino nella filodrammatica della scuola, presto interrotta per lavorare ed aiutare la famiglia. Fra un mestiere e l'altro, a 18 anni entra in una compagnia di "scavalcamontagne" - termine con cui erano definite nel piemontese le formazioni di paese che rappresentavano drammi e farse nei giorni di fiera.
Nel 1921 esordisce ufficialmente nel teatro di prosa. Nel 1924 passa a quello di varietà con una scritturazione nella compagnia di "balli e pantomime" di Giovanni Molasso. Il suo debutto con il ruolo di "secondo comico" fu al "Teatro Romano" di Torino con le riviste "Sei solo stasera" e "Senza complimenti". Dal Settembre 1924, fu poi a Milano con "Il pupo giallo" e "Vengo con questa mia" di Piero Mazzuccato, seguite nel 1925 da "Tam-Tam" di Carlo Rota e "Arcobaleno" di Mazzuccato e Veneziani.
Per Macario, oltre che un salto di professionalità, è stata l'occasione per apprendere e sviluppare la sua naturale inclinazione all'arte mimica. Il suo fisico esile e la naturale scioltezza nei movimenti contribuiscono a far pensare che l'anno con Molasso abbia consegnato alla scena italiana un potenziale mimo, che potrebbe dirsi di scuola francese.
Gli anni venti
Macario, prima che un mimo tuttavia, intendeva essere un comico. Il primo, grande salto in tal senso lo fa nel 1925, quando la famosissima soubrette Isa Bluette lo nota e lo scrittura nella sua compagnia come "comico grottesco". Il giovane comico piemontese entra dunque nel "giro buono" del teatro italiano, esordendo nella sua Torino con "Valigia delle indie", di Ripp e Bel-Ami.
Gradatamente Macario costruisce una comicità personale, fatta di una maschera clownesca le cui caratteristiche più appariscenti erano un ciuffo di capelli sulla fronte, gli occhi arrotondati e la camminata ciondolante. Ma intuisce anche che il successo di uno spettacolo dipendeva soprattutto nella presenza sulla scena di donne avvenenti e soprattutto dalle gambe lunghe. Il comico era ben consapevole dell'efficacia del contrasto tra il candore e la semplicità della propria maschera e il sottinteso erotico delle belle soubrettes che lo affiancavano sulla ribalta, sfilando vestite in maniera "minimale", in una nuvola di cipria e di felicità per la gioia degli sguardi del pubblico.
Macario rimane con Isa Bluette per quattro anni, acquistando via via sempre maggior notorietà e guadagnandosi prima il titolo di "comico" e finalmente il nome "in ditta" (1929). Sempre nel 1929 firma la sua prima rivista come autore, Paese che vai, in collaborazione con Chiappo.
Il "Re della rivista"
Nel 1930 si sente pronto per un altro importante passo: la fondazione di una sua compagnia teatrale, con la quale girerà l'Italia dal 1930 al 1935. Tranne qualche escursione nell'avanspettacolo, la compagnia di Macario rimarrà una delle compagnie di rivista più longeve del teatro italiano, con i suoi trenta anni di attività. Nel 1936 lo troviamo insieme ad Hilda Springher ed Enzo Turco in una serie di riviste di Bel-Ami. Nel 1937 scrittura Wanda Osiris, con cui costituisce la coppia più famosa degli spettacoli di genere. Sarà proprio la coppia Macario-Osiris a mettere in scena una delle prime commedie musicali italiane, "Piroscafo giallo" di Macario, Ripp e Bel-Ami.
A partire dal 1937 Macario ogni anno presenta una nuova rivista con sempre nuove fanciulle, tra cui attrici bellissime e brillanti (che scrittura in sostituzione delle ballerine, nel tentativo di innovare il genere). Tra le tante attrici lanciate da Macario si ricordano Tina De Mola, Olga Villi, Isa Barzizza, le sorelle Nava (Pinuccia, Diana, Lisetta e Tonini), Elena Giusti, Lily Granado, Marisa Maresca, Lauretta Masiero, Dorian Gray, Flora Lillo, Marisa Del Frate, Lucy D'Albert, Valeria Fabrizi, Sandra Mondaini e Lea Padovani, apprezzata in seguito come attrice cinematografica.
Nel 1938 nasce il grande amore per la bellissima sedicenne Giulia Dardanelli, che ben presto diventa la sua seconda moglie (il comico era già sposato da tempo con la coreografa Maria Giuliano, ma fece di tutto per ottenere il divorzio). Nel 1951, a Parigi, Macario e la Dardanelli si sposano in occasione della rappresentazione della rivista "Votate per Venere". Intanto, dalla loro unione erano già nati due bambini, Alberto (1943) e Mauro (nato nel 1947 e che diverrà poeta e scrittore, nonché biografo del padre).
Grazie alle sue rilevanti doti sceniche e mimiche, ad una comicità giocata sul clownesco e sul nonsense, nonché grazie alla presenza di un sempre sostenuto numero di procaci e sfavillanti soubrettes, in breve tempo Macario diventa il protagonista più famoso della rivista italiana, tanto da essere consacrato come il "Re della rivista". I suoi spettacoli, a parte la sua comicità, restano esemplari per la ricchezza delle scene, i costumi sfarzosi, le musiche brillanti e soprattutto per il numero di gambe femminili (sempre raddoppiato) che costituivano il suo corpo di ballo. Ciò che colpiva lo spettatore in misura maggiore era senz'altro quella sorta di miscela di sensualità e comicità farsesca, dai contorni spesso astratti e surreali, di cui sono sempre stati intrisi i suoi spettacoli.
Dalla rivista alla commedia musicale
Per tutti gli anni quaranta Macario prosegue la sua attività in teatro, sfornando un successo dietro l'altro. Memorabili restano le riviste "Amleto, che ne dici?" (1944), "Febbre azzurra" (1944-45), "Follie d'Amleto" (1946), "Le educande di San Babila" (1948), "Ocklabama" (1949) e "La bisbetica sognata" (1950). Nel 1951, una tournée trionfale in Francia con la sontuosa rivista femminile "Votate per Venere" è suggellata dalla presenza fra il pubblico parigino delle più note personalità d'Oltralpe. Si narra che il Presidente francese Charles De Gaulle avesse imposto che l'attore fosse scortato da corazzieri in alta uniforme.
Dalla metà degli anni cinquanta, tuttavia, le riviste cedono il posto alle nuove commedie musicali, mentre si affermano nuovi gusti e tendenze. Dopo il record di incassi raggiunto con "Made in Italy" (1953, che segna anche il suo ritorno in coppia con la "divina" Wanda Osiris) e "Tutte donne meno io" (1955, in cui Macario era l'unico uomo circondato da ben quaranta "donnine"), il comico piemontese si dedica alla commedia musicale.
Accanto a grandissime primedonne quali Sandra Mondaini e Marisa Del Frate, realizza indimenticabili spettacoli come "L'uomo si conquista la domenica" (1955), "Non sparate alla cicogna"' (1957) di Maccari e Mario Amendola, "E tu, biondina" (1957) e "Chiamate Arturo 777" (1958) di Corbucci e Grimaldi.
I primi successi cinematografici
« Mi dicono che io facevo Ionesco quando Ionesco quasi non era nato, e d'altronde io lo so... sono sempre stato un po' lunare »
(Macario)
Parallelamente al teatro, nei primi anni trenta Macario inizia a recitare anche per il cinema. Esordisce nel 1933 con il film Aria di paese (di cui firma anche la sceneggiatura), che si rivelerà una esperienza poco fortunata.
Il secondo tentativo, Imputato, alzatevi! (1939, regia di Mario Mattoli e soggetto di Vittorio Metz e Marcello Marchesi), invece avrà molto più successo. Forse proprio con questo film, per la prima volta nella storia del cinema italiano, si può parlare di comicità surreale.
Seguirono poi, in una ideale trilogia dei tempi del fascismo, i film Lo vedi come sei? (1939), Il pirata sono io! (1940) e Non me lo dire! (1940).
Al cinema Macario arriva con tutte le caratteristiche fisiche ed espressive già largamente sperimentate a teatro, costruendo un personaggio semplice e ingenuo, talvolta malinconico ma sempre ottimista e fiducioso. Si impone con il suo viso infantile, gli occhi rotondi spalancati e mobilissimi e il suo immancabile ricciolo a virgola, a cui si aggiunge la dizione incerta e marcatamente influenzata dalla lingua piemontese.
Il successo sul grande schermo continua ad arridergli fino all'inizio degli anni cinquanta, prima con il campione di incassi Come persi la guerra (1947) e poi con L'eroe della strada (1948) e Come scopersi l'America (1949). La sua formula spettacolare, tuttavia, restava sempre più adatta al teatro di rivista e alla commedia musicale, che esaltavano la sua candida e innocente maschera attraverso le "prepotenze" sulla sua fedele spalla Carlo Rizzo e soprattutto attraverso il sottinteso erotico delle sue "donnine".
Gli anni cinquanta e sessanta
Tornato a Roma, Macario tenta di estendere le sue attività teatrali alla produzione cinematografica, realizzando il film Io, Amleto (1952). Il film si rivelerà essere un disastro, ma nonostante le forti perdite l'artista non si da per vinto e con le sue riviste successive continua a riscuotere un grande successo di pubblico e di botteghino. Successivamente Macario prende parte a molti altri film, senza esserne più però il protagonista assoluto, tranne in rari e sporadici tentativi che non sortiscono il seguito sperato.
Nel 1957, il regista e scrittore Mario Soldati lo vuole per il suo Italia piccola per un ruolo drammatico. Seppure inconsueto, Macario offre una prova eccellente e dimostra ancora una volta notevole versatilità. Dal 1959 al 1963 recita ben sei film con il suo grande amico Totò: La cambiale (1959), Totò di notte n. 1 (1962), Lo smemorato di Collegno (1962), Totò contro i quattro (1963), Il monaco di Monza (1963) e Totò sexy (1963).
In questi film (alcuni dei quali di non eccelsa qualità), Macario paga molto volentieri il tributo a "Sua Maestà" Totò, ponendosi al suo servizio sul set. Fu proprio il grande attore napoletano, che già cominciava a soffrire i primi problemi alla vista, ad esprimere il desiderio di avere al suo fianco Macario, amico fidato con cui stabilire in totale tranquillità i tempi delle battute e delle gag. Il risultato ottenuto è una serie di duetti impareggiabili, con un Totò ancora più irruente di fronte al tipico balbettìo di Macario.
Gli anni settanta
Abbandonata la rivista, Macario si dedica soprattutto al teatro di prosa, distinguendosi anche in ruoli drammatici e facendo qualche incursione nel teatro in lingua piemontese. Anche qui ottiene un grande successo con una rivisitazione del famoso testo piemontese Miserie 'd Monssù Travet, messo in scena allo Stabile di Torino nel 1970.
Gli anni settanta, in cui Macario si dedica alla trasposizione televisiva di alcune sue commedie di successo, sono ricchi di impegno nel campo della prosa e della commedia musicale. Fra i numerosi lavori di quel periodo, sono da ricordare Achille Ciabotto medico condotto (1971-72), Carlin Ceruti sarto per tuti (1974), il film Il piatto piange (1974) di Paolo Nuzzi e Due sul pianerottolo (1975-76), grandissimo successo a teatro accanto a Rita Pavone (da cui nel 1976 fu ricavato l'omonimo film di Mario Amendola, il quarantesimo ed ultimo interpretato da Macario).
Negli ultimi anni della sua vita, l'attore torinese si impegna nella realizzazione del suo teatro, La Bomboniera (Torino), che inaugura nel 1977 con una esilarante rivisitazione della commedia di Molière Il medico per forza. La scelta del titolo non è del tutto casuale: Macario aveva infatti da tempo espresso il desiderio di poter recitare Molière in un teatro tutto suo.
In televisione fu tra i protagonisti di Carosello, fino al suo congedo che avviene nel 1978. Nel 1974 fu protagonista della puntata di Milleluci, con Mina e Raffaella Carrà, dedicata al genere del varietà. Nel 1975 è protagonista di un varietà in televisione, Macario uno e due. Nel 1978 la Rai gli tributa un altro varietà, Macario più, sei puntate tra prosa e rivista in cui l'attore ripercorre le tappe della sua lunga carriera all'insegna di un umorismo gentile, immediato e popolare.
La fine
Durante l'ultima replica della sua ultima fatica teatrale, Oplà, giochiamo insieme, Macario accusa un malessere che si scoprirà essere un sintomo di un tumore. Il 26 marzo 1980, Erminio Macario si spegne in una clinica torinese all'età di 77 anni, assistito fino all'ultimo dall'amata moglie in seconde nozze Giulia Dardanelli.

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