mini biografia di Stefania Rocca
Figlia di un dipendente della Fiat (un capo della sorveglianza) e di una disegnatrice di moda, da adolescente ha studiato pianoforte, danza (al Teatro Stabile di Torino) e canto. Nel 1989 ha lasciato la sua città natale per trasferirsi a Milano dove ha alternato il lavoro (modella per la pubblicità) con lo studio. I soldi guadagnati lavorando sono infatti serviti per frequentare diversi corsi di formazione fra i quali stages teatrali (con Beatrice Bracco, Dominique Defazio e Susan Strasberg), un seminario di recitazione in inglese con Richard Gordon ed uno stage privato di mimo e movimento scenico con assistente di Nicolage Karpoff (docente dell'Accademia filodrammatica di Mosca). Trasferitasi a Roma, nel 1993 inizia a frequentare, grazie ad una borsa di studio, il Centro Sperimentale di Cinematografia. L'anno successivo esordisce nel cinema interpretando una parte nel film "Poliziotti", di Giulio Base. Nel 1995 recita in "Cronaca di un amore violato", di Giacomo Battiato e "Palermo - Milano solo andata" di Claudio Fragasso. Alla fine dello stesso anno abbandona il Centro Sperimentale prima di conseguire il diploma per accettare l'offerta di Gabriele Salvatores di interpretare Naima nel film "Nirvana" (1997). Intanto, recita anche in due film dei fratelli Marco e Luca Mazzieri: "I virtuali" e "Voglio una donnaaa!" Terminate le riprese, vola a New York dove frequenta l'Actor's Studio ed impara a recitare in inglese. Tornata in Italia, nel 1998 interpreta "Viol@", opera prima di Donatella Maiorca presentata alla Mostra del Cinema di Venezia. Attrice apprezzata anche all'estero ha recitato in "Il talento di Mr. Ripley" (1999) di Anthony Minghella, "Pene d'amor perdute" (2000) versione musicale del dramma shakesperiano diretto da Kenneth Branagh, "Hotel" (2001) di Mike Figgis, "Heaven" di Tom Tykwer. Il 2002 è l'anno della sua consacrazione tra le interpreti italiane di maggior talento grazie alla sua interpretazione in "Casomai" di Alessandro D'Alatri, che le vale le candidature al David di Donatello e al Nastro d'argento, entrambe come miglior attrice protagonista. Nel 2004 è candidata ancora una volta al Nastro d'argento, ma come miglior non protagonista, per "La vita come viene" di Stefano Incerti. L'anno successivo è tra gli interpreti di "Mary" di Abel Ferrara (Premio Speciale della Giuria alla 62ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia). Nel 2006, grazie al ruolo di Emilia in "La bestia nel cuore" di Cristina Comencini ottiene la nomination come miglior attrice non protagonista al David di Donatello. Attiva anche in teatro e in televisione, per il piccolo schermo è stata protagonista del film Tv "Resurrezione" (2001) dei fratelli Taviani e nella miniserie "Mafalda di Savoia" (2006) di Maurizio Zaccaro. Nel 2006 è chiamata a far parte della giuria del premio Venezia Opera Prima "Luigi De Laurentiis" alla 63ma Mostra del Cinema. Grande sportiva, appassionata di pallavolo (ha giocato in serie C con il Cus-Torino), equitazione, pattinaggio e di arrampicata libera, è anche istruttrice di nuoto. E' stata sentimentalmente legata all'aiuto regista Bernardo Barilli.
2009-06-18
intervista a Stefania Rocca (2 parte)
E anche qui, qualcosa è cambiato: ha sempre sostenuto che teme l’annullamento delle donne nella maternità...
«L’universo femminile è troppo ampio: non si può restringere solo ad essere mamma. Essere mamma è fantastico, ma ci sono anche gli stimoli personali, le fantasie: mi spiacerebbe perdere l’altra parte. E poi, non vorrei andare sulle tracce di mia madre».
Perché, sua madre ha dovuto rinunciare a qualcosa?
«Mia madre è fantastica: ha fatto tutto per le sue tre figlie. Però mi dispiace che abbia perso la sua possibilità di esprimersi. È una donna creativa: disegnava modelli di abiti e mi divertivo un sacco, da piccola. Ogni modello aveva il suo colore e io giocavo con lei, con i colori».
Al secondo figlio, progetta il matrimonio?
«Non lo so. Il matrimonio ha perso un po’ di poesia e di valore. Oggi, il valore più grande è riuscire a rispettarsi, al di là del foglio di carta firmato».
Come vede il cinema italiano?
«In grande forma. E spero di tornare a girare presto. Adesso, sto scrivendo il trattamento di L’ora di tutti, un libro di Maria Corti i cui diritti ho acquistato, subito dopo averlo letto. Non mi si può vedere, perché ho il pancione? E allora, scrivo».
«L’universo femminile è troppo ampio: non si può restringere solo ad essere mamma. Essere mamma è fantastico, ma ci sono anche gli stimoli personali, le fantasie: mi spiacerebbe perdere l’altra parte. E poi, non vorrei andare sulle tracce di mia madre».
Perché, sua madre ha dovuto rinunciare a qualcosa?
«Mia madre è fantastica: ha fatto tutto per le sue tre figlie. Però mi dispiace che abbia perso la sua possibilità di esprimersi. È una donna creativa: disegnava modelli di abiti e mi divertivo un sacco, da piccola. Ogni modello aveva il suo colore e io giocavo con lei, con i colori».
Al secondo figlio, progetta il matrimonio?
«Non lo so. Il matrimonio ha perso un po’ di poesia e di valore. Oggi, il valore più grande è riuscire a rispettarsi, al di là del foglio di carta firmato».
Come vede il cinema italiano?
«In grande forma. E spero di tornare a girare presto. Adesso, sto scrivendo il trattamento di L’ora di tutti, un libro di Maria Corti i cui diritti ho acquistato, subito dopo averlo letto. Non mi si può vedere, perché ho il pancione? E allora, scrivo».
intervista a Stefania Rocca (1 parte)
Roma - Sei Ramba come la marocchina Rachida Dati, da ministro della Giustizia nella Francia di Sarkò, sui tacchi dodici a cinque giorni dal cesareo? Oppure furba come la còrsa Laetitia Casta e lasci il set d’un film dove interpreti la Bardot, dicendo all’ultimo giorno che aspetti il terzo figlio? Allora sei calcolatrice e lo sai: nessuna pietà per le madri che lavorano (come sa Antonella Clerici, mamma felice, ma conduttrice orfana de La prova del cuoco e de Il treno dei desideri). È la crisi, mammina: anche le dive piangono, perché l’assicurazione sul pancione costa troppo e le aziende, dove la donna piace squalo, sfruttabile e senza prole, evitano le grane. Una riprova viene da Stefania Rocca, la bella attrice torinese classe 1971, che, con la sua bravura ha incentivato il successo di Tutti pazzi per amore, serie tv alla seconda edizione (le riprese partono a fine mese: 13 puntate pronte per il 2010), per vedersi rimpiazzata da Antonia Liskova, nel ruolo della sua Laura. C’è che Stefania l’ha fatto di nuovo: dopo Leone Ariele, 20 mesi, avuto dal manager Carlo Capasa, arriva il secondo figlio maschio della coppia.
Cara Stefania Rocca, subito sostituita in «Tutti pazzi per amore». La Rai discrimina le donne in attesa?
«Parlare di discriminazione, forse, è troppo. Però, potevano aspettare altri quattro mesi: in fondo, non succedeva nulla. Tra l’altro, io l’ho detto subito che ero incinta».
E allora come mai non hanno riscritto la serie, come accade negli Usa, dove si adatta il copione alle esigenze dei protagonisti?
«Per la verità, so che ci hanno provato. Hanno anche provato a spostare la programmazione. Ma avevano paura di perdere l’entusiasmo del pubblico. Non si potevano perdere i fans della prima serie. A me, comunque, è dispiaciuto».
C’è anche un problema assicurativo, mi sembra, quanto alle attrici in gravidanza?"
Il problema assicurativo esiste: l’assicurazione di Tutti pazzi per amore, poi, non ci copriva per tutto il tempo... Piuttosto che prendere rischi, hanno preferito sostituirmi. Diciamo che ognuno ha fatto i propri giochi. All’inizio, sembrava fossi indispensabile. Adesso, invece, non sono così indispensabile. Sei incinta? Cavoli tuoi. In fin dei conti, è una professione libera... Mi spiace, soprattutto se penso ai sacrifici affrontati quando avevo Leone piccolino, sul set della prima serie».
Quali sacrifici?
«Per me era importante che stesse con la mamma. Sarò stata egoista a tenerlo con me mentre giravo, però è stato anche divertente. Lo allattavo ogni due ore e così, nove mesi d’insonnia! Ho pure licenziato la mia prima tata, che, furba, sosteneva che Leone dovesse andare al parco, con lei e non stare sul set con me. In realtà, era lei che voleva chiacchierare con le altre tate, ai giardini. Anche perché, magari, su un set ci si può annoiare, se non si è coinvolti».
Prima della maternità, dava l’idea d’essere una donna di polso, quasi restia ai sentimenti, alla dolcezza...
«È vero: non ero così fragile, prima. La prima notte, dopo aver partorito Leone, ero stanca. Ma quando, il giorno dopo, le infermiere me l’hanno portato, dicendomi: “Mamma, ecco il tuo Leone”, mi sono messa a piangere. È stato emozionante sentirmi chiamare mamma».
Cara Stefania Rocca, subito sostituita in «Tutti pazzi per amore». La Rai discrimina le donne in attesa?
«Parlare di discriminazione, forse, è troppo. Però, potevano aspettare altri quattro mesi: in fondo, non succedeva nulla. Tra l’altro, io l’ho detto subito che ero incinta».
E allora come mai non hanno riscritto la serie, come accade negli Usa, dove si adatta il copione alle esigenze dei protagonisti?
«Per la verità, so che ci hanno provato. Hanno anche provato a spostare la programmazione. Ma avevano paura di perdere l’entusiasmo del pubblico. Non si potevano perdere i fans della prima serie. A me, comunque, è dispiaciuto».
C’è anche un problema assicurativo, mi sembra, quanto alle attrici in gravidanza?"
Il problema assicurativo esiste: l’assicurazione di Tutti pazzi per amore, poi, non ci copriva per tutto il tempo... Piuttosto che prendere rischi, hanno preferito sostituirmi. Diciamo che ognuno ha fatto i propri giochi. All’inizio, sembrava fossi indispensabile. Adesso, invece, non sono così indispensabile. Sei incinta? Cavoli tuoi. In fin dei conti, è una professione libera... Mi spiace, soprattutto se penso ai sacrifici affrontati quando avevo Leone piccolino, sul set della prima serie».
Quali sacrifici?
«Per me era importante che stesse con la mamma. Sarò stata egoista a tenerlo con me mentre giravo, però è stato anche divertente. Lo allattavo ogni due ore e così, nove mesi d’insonnia! Ho pure licenziato la mia prima tata, che, furba, sosteneva che Leone dovesse andare al parco, con lei e non stare sul set con me. In realtà, era lei che voleva chiacchierare con le altre tate, ai giardini. Anche perché, magari, su un set ci si può annoiare, se non si è coinvolti».
Prima della maternità, dava l’idea d’essere una donna di polso, quasi restia ai sentimenti, alla dolcezza...
«È vero: non ero così fragile, prima. La prima notte, dopo aver partorito Leone, ero stanca. Ma quando, il giorno dopo, le infermiere me l’hanno portato, dicendomi: “Mamma, ecco il tuo Leone”, mi sono messa a piangere. È stato emozionante sentirmi chiamare mamma».
2009-06-02
intervista a Stefania Rocca
Stefania Rocca è il cinema. Nonostante il grande successo sul piccolo schermo in Tutti pazzi per amore accanto a Emilio Solfrizzi, il grande schermo resta la dimensione nella quale si sente a suo agio, una realtà grazie alla quale riesce a esprimere il suo mondo interiore, bellissimo e complicato, di donna e attrice dallo sguardo meraviglioso e magnetico: «Il regista della serie, Riccardo Milani, è riuscito a dare vita a un lavoro bellissimo perché, pur trattandosi di televisione, è riuscito a farci respirare aria di cinema. Quando mi è stato proposto il ruolo avevo un po’ di timore: avevo il terrore di annoiarmi a interpretare, per otto mesi di riprese, lo stesso personaggio. Per fortuna però Laura è diversa in ogni episodio e vive mille situazioni: sai qual è il bello di questa fiction? È che si raccontano anche i sogni e i desideri dei personaggi in chiave leggera ma intelligente».
Stefania debutta nel cinema nel 1994 con Effetto di Federico Cagnoni ma il vero successo arriva nel 1997 con la parte di Naima, l’esperta di hardware di Nirvana di Gabriele Salvatores: «Sono sempre stata affascinata da ruoli particolari, difficili, diversi da me e dal mio modo di essere e di concepire le varie sfaccettature della vita». E il tema del “doppio” torna nelle foto per Playboy: «Mi piaceva molto l’idea cinematografica che accompagna da sempre il lavoro del giornale: non volevo delle immagini classiche, stereotipate, ma cercavo, grazie anche alla fiducia che si è instaurata con il fotografo, qualcosa che potesse esprimere quella dualità che esiste in ogni essere umano». E così, sarà che la nostra società vive un periodo pessimistico nel quale quasi nessuno riesce a esprimere se stesso nella propria totalità, vedendosi costretto a duplicare (se non moltiplicare) la propria persona; sarà che si tratta di un argomento che invita alla riflessione; sarà l’insieme di tutti questi elementi, ma una cosa è certa: il tema del doppio ha una potenza comunicativa non indifferente e una capacità unica di sedurre lo spettatore: «Per le foto avevo pensato al film Persona di Ingmar Bergman una pellicola quasi magica». Il film drammatizza lo stato di smarrimento, mescolando sogno e realtà immaginata fino a mettere in discussione l’unità dell’Io; il rapporto tende ad assumere il carattere di una duplicazione che avviene attraverso un transfert: un bambino si risveglia in una stanza bianca, arredata solo da un letto, appoggia la sua mano su uno schermo che riproduce il volto di Alma, l’infermiera le cui fattezze trasmutano in quelle della paziente Elisabeth Voegler. Il tema del doppio può manifestarsi ed esprimersi visivamente e narrativamente in diverse maniere: una stessa persona che vive due vite distinte ma parallele; due persone praticamente uguali che si spacciano per un unico individuo; trasformazioni fisiche che rendono impossibile il riconoscimento; sdoppiamenti di personalità e fisicità; supereroi con la doppia vita tenuta nascosta.
Qualcuno ha detto che l’attore è uno dei mestieri nei quali ci si sente più soli…
«È vero e se ci pensi anche questa può essere una sorta di dualità. Fai un lavoro pubblico e poi, paradossalmente, quando prepari un personaggio vuoi essere da solo con il tuo mondo interiore. Scegli di stare appartata perché temi influenze esterne e giudizi negativi su quello che stai facendo, che possono sminuire il tuo lavoro. Quando stavo preparando La bestia nel cuore di Cristina Comencini e mi chiedevano a cosa stavo lavorando io rispondevo: “Sarò una lesbica non vedente”: una frase che, spesso, veniva ricambiata da una risata che mi faceva tremare. Questo non può e non deve accadere: un personaggio così bello e intenso non si può descrivere in due parole. Un interprete è tenuto a difendere sempre e a ogni costo il suo lavoro, quello in cui crede».
Dai l’idea di essere una donna molta forte…
«Anche in questo c’è una doppia lettura perché, contrariamente a quello che molti pensano, ho una mia parte fragile della quale vado fiera perché mi rende umana, mi aiuta a riscoprirmi ed è voluta: quando preparo un ruolo sono frammentata come un puzzle e piano piano i tasselli tornano al loro posto».
Sei nata a Torino che, secondo leggende esoteriche, farebbe parte, con Praga e Lione, di un triangolo magico… cosa pensi di questo aspetto della tua città?
«Mi affascina: il nero e il bianco, il bene e il male…
Da quando ero piccola mi capita di fare sogni premonitori».
Svelaci la tua metà oscura…
«È la parte che sento di aver sviluppato meno e vorrei che venisse fuori in maniera più prepotente. Al cinema, per esempio, mi piacerebbe fare una serial killer, una dark lady o una mangiatrice di uomini: ma in Italia sono pochi i ruoli così estremi che vengono affidati a un’attrice… sarebbe bellissimo poter passare, lavorativamente parlando, da un eccesso all’altro».
Donna decisa e mamma dolcissima: un’altra dualità…
«La nascita di Leone mi ha aiutata a essere più dolce e meno diretta nei confronti del prossimo: sono diventata più malleabile e protettiva e il mio bambino mi ha fatto scoprire una parte di me che non credevo esistesse».
Ti senti una donna erotica?
«Sono più sensuale che carnale: la sensualità mi fa venire in mente armonia e leggerezza mentre l’erotismo è qualcosa di più forte che, spesso, è legato solo al sesso».
A proposito di cinema quali sono i tuoi cult erotici?
«Tokio decadence: una pellicola giapponese estrema, forte, ma molto bella, che accende i sensi».
Invece a te cosa piace in un uomo?
«Tante cose: un sorriso, un certo modo di muoversi o di parlare, il profumo della pelle. Non amo le cose troppo sfacciate e plateali e, in questo, Playboy è maestro: perché insegna che è molto più bello un “vedo non vedo” rispetto a una nudità esibita, volgare e gratuita».
L’attore più sensuale con cui hai lavorato?
«Jude Law, che ho conosciuto sul set de Il talento di Mr Ripley di Antony Minghella: basta vederlo camminare e ti colpisce con la sua carica erotica. Ma ho amato molto anche Jeremy Irons ne Il danno, altro film ad alto tasso erotico».
Come sei in amore?
«Bella domanda per un argomento immenso, inesauribile: sono per il giusto equilibrio. Preferisco una storia breve ma intensa a qualcosa di non chiaro e trascinato troppo a lungo. L’amore può e, forse, deve anche far soffrire. Quando si sta bene in coppia bisogna godere del rapporto fino in fondo ma quando vengono a mancare delle componenti fondamentali a livello sessuale, fisico, morale o psicologico è meglio lasciar perdere».
Come reagisci a un tradimento?
«Dipende: se si tratta della pulsione sessuale di una serata e lui me lo dice posso anche perdonare, ma se scopro che ha una doppia vita e tiene il piede in due scarpe mi incazzo e me ne vado. In amore sono assolutista, do tutta me stessa, non prendo in giro ma non voglio nemmeno che gli altri lo facciano con me».
Stefania Rocca nasce a Torino il 24 aprile 1971. Studia al Centro Sperimentale di Cinematografia e all’Actor’s Studio.
Nel 1994 debutta con Effetto (Federico Cagnoni), seguito da Palermo Milano solo andata (Claudio Fragasso). Nel 1997 il successo arriva con Nirvana (Gabriele Salvatores). Nel 1998 è la protagonista di Viol@. Nel 2002 recita in Casomai (Alessandro D’Alatri) e due anni dopo ne Il cartaio (Dario Argento) e ne L’amore è eterno finché dura (Carlo Verdone). Nel 2005 è nel cast de La bestia nel cuore (Cristina Comencini). Torna infine a lavorare con D’Alatri nel 2006 in Commediasexi. Tra il 2008 e il 2009 è protagonista della serie tv Tutti pazzi per amore.
Stefania debutta nel cinema nel 1994 con Effetto di Federico Cagnoni ma il vero successo arriva nel 1997 con la parte di Naima, l’esperta di hardware di Nirvana di Gabriele Salvatores: «Sono sempre stata affascinata da ruoli particolari, difficili, diversi da me e dal mio modo di essere e di concepire le varie sfaccettature della vita». E il tema del “doppio” torna nelle foto per Playboy: «Mi piaceva molto l’idea cinematografica che accompagna da sempre il lavoro del giornale: non volevo delle immagini classiche, stereotipate, ma cercavo, grazie anche alla fiducia che si è instaurata con il fotografo, qualcosa che potesse esprimere quella dualità che esiste in ogni essere umano». E così, sarà che la nostra società vive un periodo pessimistico nel quale quasi nessuno riesce a esprimere se stesso nella propria totalità, vedendosi costretto a duplicare (se non moltiplicare) la propria persona; sarà che si tratta di un argomento che invita alla riflessione; sarà l’insieme di tutti questi elementi, ma una cosa è certa: il tema del doppio ha una potenza comunicativa non indifferente e una capacità unica di sedurre lo spettatore: «Per le foto avevo pensato al film Persona di Ingmar Bergman una pellicola quasi magica». Il film drammatizza lo stato di smarrimento, mescolando sogno e realtà immaginata fino a mettere in discussione l’unità dell’Io; il rapporto tende ad assumere il carattere di una duplicazione che avviene attraverso un transfert: un bambino si risveglia in una stanza bianca, arredata solo da un letto, appoggia la sua mano su uno schermo che riproduce il volto di Alma, l’infermiera le cui fattezze trasmutano in quelle della paziente Elisabeth Voegler. Il tema del doppio può manifestarsi ed esprimersi visivamente e narrativamente in diverse maniere: una stessa persona che vive due vite distinte ma parallele; due persone praticamente uguali che si spacciano per un unico individuo; trasformazioni fisiche che rendono impossibile il riconoscimento; sdoppiamenti di personalità e fisicità; supereroi con la doppia vita tenuta nascosta.
Qualcuno ha detto che l’attore è uno dei mestieri nei quali ci si sente più soli…
«È vero e se ci pensi anche questa può essere una sorta di dualità. Fai un lavoro pubblico e poi, paradossalmente, quando prepari un personaggio vuoi essere da solo con il tuo mondo interiore. Scegli di stare appartata perché temi influenze esterne e giudizi negativi su quello che stai facendo, che possono sminuire il tuo lavoro. Quando stavo preparando La bestia nel cuore di Cristina Comencini e mi chiedevano a cosa stavo lavorando io rispondevo: “Sarò una lesbica non vedente”: una frase che, spesso, veniva ricambiata da una risata che mi faceva tremare. Questo non può e non deve accadere: un personaggio così bello e intenso non si può descrivere in due parole. Un interprete è tenuto a difendere sempre e a ogni costo il suo lavoro, quello in cui crede».
Dai l’idea di essere una donna molta forte…
«Anche in questo c’è una doppia lettura perché, contrariamente a quello che molti pensano, ho una mia parte fragile della quale vado fiera perché mi rende umana, mi aiuta a riscoprirmi ed è voluta: quando preparo un ruolo sono frammentata come un puzzle e piano piano i tasselli tornano al loro posto».
Sei nata a Torino che, secondo leggende esoteriche, farebbe parte, con Praga e Lione, di un triangolo magico… cosa pensi di questo aspetto della tua città?
«Mi affascina: il nero e il bianco, il bene e il male…
Da quando ero piccola mi capita di fare sogni premonitori».
Svelaci la tua metà oscura…
«È la parte che sento di aver sviluppato meno e vorrei che venisse fuori in maniera più prepotente. Al cinema, per esempio, mi piacerebbe fare una serial killer, una dark lady o una mangiatrice di uomini: ma in Italia sono pochi i ruoli così estremi che vengono affidati a un’attrice… sarebbe bellissimo poter passare, lavorativamente parlando, da un eccesso all’altro».
Donna decisa e mamma dolcissima: un’altra dualità…
«La nascita di Leone mi ha aiutata a essere più dolce e meno diretta nei confronti del prossimo: sono diventata più malleabile e protettiva e il mio bambino mi ha fatto scoprire una parte di me che non credevo esistesse».
Ti senti una donna erotica?
«Sono più sensuale che carnale: la sensualità mi fa venire in mente armonia e leggerezza mentre l’erotismo è qualcosa di più forte che, spesso, è legato solo al sesso».
A proposito di cinema quali sono i tuoi cult erotici?
«Tokio decadence: una pellicola giapponese estrema, forte, ma molto bella, che accende i sensi».
Invece a te cosa piace in un uomo?
«Tante cose: un sorriso, un certo modo di muoversi o di parlare, il profumo della pelle. Non amo le cose troppo sfacciate e plateali e, in questo, Playboy è maestro: perché insegna che è molto più bello un “vedo non vedo” rispetto a una nudità esibita, volgare e gratuita».
L’attore più sensuale con cui hai lavorato?
«Jude Law, che ho conosciuto sul set de Il talento di Mr Ripley di Antony Minghella: basta vederlo camminare e ti colpisce con la sua carica erotica. Ma ho amato molto anche Jeremy Irons ne Il danno, altro film ad alto tasso erotico».
Come sei in amore?
«Bella domanda per un argomento immenso, inesauribile: sono per il giusto equilibrio. Preferisco una storia breve ma intensa a qualcosa di non chiaro e trascinato troppo a lungo. L’amore può e, forse, deve anche far soffrire. Quando si sta bene in coppia bisogna godere del rapporto fino in fondo ma quando vengono a mancare delle componenti fondamentali a livello sessuale, fisico, morale o psicologico è meglio lasciar perdere».
Come reagisci a un tradimento?
«Dipende: se si tratta della pulsione sessuale di una serata e lui me lo dice posso anche perdonare, ma se scopro che ha una doppia vita e tiene il piede in due scarpe mi incazzo e me ne vado. In amore sono assolutista, do tutta me stessa, non prendo in giro ma non voglio nemmeno che gli altri lo facciano con me».
Stefania Rocca nasce a Torino il 24 aprile 1971. Studia al Centro Sperimentale di Cinematografia e all’Actor’s Studio.
Nel 1994 debutta con Effetto (Federico Cagnoni), seguito da Palermo Milano solo andata (Claudio Fragasso). Nel 1997 il successo arriva con Nirvana (Gabriele Salvatores). Nel 1998 è la protagonista di Viol@. Nel 2002 recita in Casomai (Alessandro D’Alatri) e due anni dopo ne Il cartaio (Dario Argento) e ne L’amore è eterno finché dura (Carlo Verdone). Nel 2005 è nel cast de La bestia nel cuore (Cristina Comencini). Torna infine a lavorare con D’Alatri nel 2006 in Commediasexi. Tra il 2008 e il 2009 è protagonista della serie tv Tutti pazzi per amore.
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