2.6.11

Dino Campana







è stato un poeta italiano.

Dino Carlo Giuseppe Campana nasce a Marradi, un piccolo paese dell'Appennino tosco-romagnolo, da Giovanni, insegnante di scuola elementare, poi direttore didattico, descritto come uomo per bene ma di carattere debole e remissivo, e da Francesca Luti, detta Fanny, donna compulsiva e severa, affetta da mania deambulatoria e accesa credente cattolica. La madre era attaccata in modo morboso al figlio secondogenito Manlio, fratello più giovane di due anni di Dino, natole nel 1887.
Dino Campana trascorre l'infanzia in modo apparentemente sereno a Marradi (borgo collinare a 35 chilometri da Faenza) ma, a circa quindici anni di età, gli vengono diagnosticati i primi disturbi nervosi che non gli impediranno comunque di frequentare i vari cicli di scuola.
Frequenta le elementari a Marradi, poi frequenta la terza, quarta e quinta ginnasio presso il collegio dei Salesiani di Faenza. Intraprende gli studi liceali in parte presso il Liceo Torricelli della stessa città, in parte a Carmagnola, in Piemonte, presso il regio liceo Baldessano, dove consegue la maturità, nel luglio del 1903.Quando rientra a Marradi, le crisi nervose si acutizzano, come pure i frequenti sbalzi di umore, sintomi dei difficili rapporti con la famiglia (soprattutto con la madre) e il paese natio. Per ovviare alla monotonia delle serate marradesi, specie nella stagione invernale, Dino era solito recarsi a "Gerbarola", una località poco distante dal borgo, dove con gli abitanti del luogo trascorreva qualche ora mangiando le caldarroste (la castagna è infatti il frutto tipico di Marradi), comunemente appellate con il nome di "bruciate". Questo tipo di svago sembrava avere effetti positivi sui suoi disturbi psichici.
A diciannove anni, nel 1904, Campana entra nella scuola per ufficiali di complemento di Ravenna; non superando l'esame per sergente, si iscrive presso l'Università di Bologna, alla Facoltà di Chimica pura, per passare - l'anno seguente - alla Facoltà di Chimica farmaceutica a Firenze. Nel capoluogo emiliano frequenta anche le lezioni della facoltà di lettere e intrattiene rapporti di amicizia con i gruppi di goliardi e con gli appassionati di letteratura della sua età. Proprio sui fogli pubblicati dai goliardi escono le sue prime prove poetiche, alcune di quelle che in seguito verranno incluse nell'opera maggiore di Campana, i Canti Orfici.
Campana espresse il suo "male oscuro" con un irrefrenabile bisogno di fuggire e dedicarsi ad una vita errabonda. La prima reazione della famiglia e del paese, e poi dell'autorità pubblica, fu quella di considerare le stranezze di Campana come segni lampanti della sua pazzia. Ad ogni sua "fuga", che si realizzava con viaggi in paesi stranieri dove si dedicava ai mestieri più disparati per sostentarsi, seguiva, da parte della polizia (in conformità con il sistema psichiatrico di quei tempi e per le incertezze dei familiari), il ricovero in manicomio. Inoltre, veniva visto con sospetto per i tratti somatici che veniva giudicati germanici e per l'impeto con cui discuteva di poesia e filosofia. Internato per la prima volta nel manicomio di Imola, (città a 15 chilometri da Faenza) alla fine del 1905, ne tenta una fuga già tra il maggio e il luglio del 1906, per raggiungere la Svizzera e la Francia. Verrà arrestato a Bardonecchia e di nuovo ricoverato ad Imola. Ne uscirà nel 1907, per l'interessamento della famiglia.
Risale intorno al 1907 un viaggio in Argentina, presso una famiglia di lontani parenti emigrati, caldeggiati dagli stessi genitori per liberarlo dal tanto odiato paese natìo e, probabilmente, perché il conflitto con la madre si era fatto ormai insanabile. Pare che lei fosse arrivata a credere di avere concepito, con lui, l'anticristo. Dino probabilmente accetta di partire sia per lasciarsi alle spalle le esperienze in manicomio, sia perché affascinato dalla nuova meta.
Il viaggio in America comunque rappresenta un punto particolarmente oscuro della biografia di Campana: se alcuni arrivano a chiamarlo "il poeta dei due mondi", c'è anche chi, invece, come per esempio Ungaretti, sostiene che in America, Campana non ci andò neppure. Numerose sono anche le opinioni sulla datazione del viaggio e sulle modalità ed il tragitto del ritorno.
L'ipotesi più accreditata è che sia partito nell'autunno 1907 da Genova ed abbia vagabondato per l'Argentina fino alla primavera del 1909, quando ricompare a Marradi, dove viene arrestato. Dopo un breve internamento al San Salvi di Firenze, riparte per un viaggio in Belgio, ma viene di nuovo arrestato a Bruxelles e viene poi internato nella "maison de santé" di Tournay all'inizio del 1910. Chiede aiuto alla sua famiglia e viene rimandato a Marradi. Vive un periodo più tranquillo e pensa anche di riscriversi all'università.


Canti Orfici

Nel 1913 Campana si reca a Firenze presentandosi nella redazione della rivista "Lacerba" a Giovanni Papini e ad Ardengo Soffici, suo lontano parente, cui consegna il suo manoscritto dal titolo "Il più lungo giorno". Non viene preso in considerazione e il manoscritto va perduto (sarà ritrovato solamente, dopo sessant'anni, nel 1971, dopo la morte di Soffici, tra le sue carte nella casa di Poggio a Caiano, probabilmente nello stesso posto in cui era stato abbandonato e dimenticato). Dopo qualche mese di attesa Campana scende da Marradi a Firenze per riprendersi il suo manoscritto. Papini non lo possiede più e lo manda da Soffici che nega di aver mai avuto il libretto. Il giovane, la cui mente è già labile, si arrabbia e si dispera, poiché aveva consegnato, fidandosi, l'unica copia che aveva realizzato. Scrive e implora insistentemente senza altro risultato che il disprezzo e l'indifferenza di tutto l'ambiente culturale che gravita intorno alle "Giubbe Rosse". Infine, esasperato, minaccia di venire con il coltello per farsi giustizia dell'"infame" Soffici e i suoi soci, che definisce "sciacalli".
A proposito del dissidio tra Campana e l'ambiente letterario fiorentino si leggano le parole che Campana scrive a Papini in una lettera del maggio del 1913: "(...) E se di arte non capite più niente cavatevi da quel focolaio di càncheri che è Firenze e venite qua a Genova: e se siete un uomo d'azione la vita ve lo dirà e se se siete artista il mare ve lo dirà. Ma se voi avete un qualsiasi bisogno di creazione non sentite che monta attorno a voi l'energia primordiale di cui inossare i vostri fantasmi? Accademia della Crusca. Accademia dei Lincei. Accademia del mantellaccio: sì, voi siete l'accademia del Mantellaccio; con questo nome ora vi dico in confidenza, io vi chiamo se non rispettate di più l'arte. Mandate via quella redazione che a me sembrano tutti cialtroni. Essi sono ignari del «numero che governa i bei pensieri». La vostra speranza sia fondare l'alta coltura italiana. Fondarla sul violento groviglio delle forze nelle città elettriche sul groviglio delle selvagge anime del popolo, del vero popolo, non di una massa di lecchini, finocchi, camerieri, cantastorie, saltimbanchi, giornalisti e filosofi come siete a Firenze. Sapete, essendo voi filosofo sono in diritto di dire tutto: del resto vi sarete accorto che sono un'intelligenza superiore alla media. Per finire, il vostro giornale è monotono, molto monotono: l'immancabile Palazzeschi, il fatale Soffici: come novità: Le cose che fanno la Primavera. In verità vi dico tutte queste cose non fanno la Primavera ma l'inverno. Ma scrivete un po' a Marinetti che è un ingegno superiore, scrivetegli che vi mandi qualche cosa di buono: e finitela colla critica."
Nell’inverno del 1914, convinto di non poter più recuperare il manoscritto, Campana decide di riscrivere tutto affidandosi alla memoria, e in pochi giorni, lavorando anche di notte e a costo di un enorme sforzo mentale, riesce a riscrivere il canzoniere, sia pure con modifiche e aggiunte. Nella primavera del 1914, Campana riesce finalmente a pubblicare a proprie spese, la raccolta, con il titolo, appunto, di "Canti Orfici". Il 1915 lo trascorre viaggiando senza una meta fissa: Torino, Domodossola, ancora Firenze.
Nel 1916 ricerca inutilmente un impiego. Scrive a Emilio Cecchi (che sarà, insieme a Giovanni Boine - che comprese subito l'importanza di Campana recensendo i Canti Orfici nel 1914 su "Plausi e Botte" - e a Giuseppe De Robertis, uno dei suoi pochi estimatori) ed inizia con lo scrittore una breve corrispondenza. A Livorno si scontra con il giornalista Athos Gastone Banti, che scrive su di lui un articolo denigratorio sul quotidiano "Il Telegrafo": si arriva quasi al duello. Nello stesso anno conosce Sibilla Aleramo, l'autrice del romanzo Una donna ed inizia con lei una intensa e tumultuosa relazione, che si interromperà all'inizio del 1917, successivamente ad un breve incontro nel Natale 1916 a Marradi.
Esistono testimonianze della relazione avvenuta tra Dino e Sibilla nel carteggio pubblicato da Feltrinelli nel 2000: Un viaggio chiamato amore - Lettere 1916-1918.
Il carteggio ha inizio con una lettera della Aleramo datata 10 giugno 1916, nel quale l'autrice esprime la sua ammirazione per i "Canti Orfici", dichiarando di esserne stata incantata e abbagliata insieme. Sibilla era allora in vacanza nella Villa La Topaia a Borgo San Lorenzo, mentre Campana era in una stazione climatica presso Firenzuola per rimettersi in salute dopo essere stato colpito da una leggera paresi al lato destro del corpo.
Nel 1918 Campana viene internato presso l'ospedale psichiatrico situato nella Villa di Castelpulci, presso Scandicci (Firenze). Lo psichiatra Carlo Pariani lo va a trovare per intervistarlo. Dino Campana muore in ospedale, sembra per una forma di setticemia, dovuta ad una malattia mai ben chiarita, il primo marzo del 1932, la salma è sepolta nel cimitero di San Colombano, nel territorio di Scandicci.
Il 2 marzo, il corpo di Campana viene inumato nel cimitero di San Colombano a Badia a Settimo ma nel 1942, su interessamento di Piero Bargellini, viene data alle spoglie del poeta una sepoltura più dignitosa e la salma trova riposo nella cappella sottostante il campanile della chiesa di San Salvatore. Durante la seconda guerra mondiale, il 4 agosto 1944, i tedeschi, in ritirata, fanno saltare con una carica esplosiva il campanile distruggendo nel contempo anche la cappella.
Nel 1946 le ossa del poeta, in seguito ad una cerimonia alla quale partecipano numerosi intellettuali dell'epoca, tra i quali Eugenio Montale, Alfonso Gatto, Carlo Bo, Ottone Rosai, Pratolini e altri, vengono collocate all'interno della Chiesa di San Salvatore a Badia a Settimo, raggiungendo così la loro dimora attuale.


La poetica

La poesia di Campana è una poesia nuova nella quale si amalgamano i suoni, i colori e la musica in potenti bagliori. Il verso è indefinito, l'articolazione espressiva in un certo senso monotona ma nel contempo ricca di immagini molto forti di annientamento e purezza. Il titolo allude agli inni orfici, genere letterario attestato nell'antica Grecia tra il II e il III secolo d.C. e caratterizzato da una diversa teogonia rispetto a quella classica. Inoltre le preghiere agli dei (in particolare al dio Protogono) sono caratterizzate dagli scongiuri dal male e dalle sciagure.


I temi fondamentali

Uno dei temi maggiori di Campana, che si trova già all'inizio dei "Canti Orfici" nelle prime parti in prosa - La notte e Il viaggio e il ritorno - è quello dell'oscurità tra il sogno e la veglia. Gli aggettivi e gli avverbi ritornano con una ripetitiva insistenza come di chi detta durante un sogno, sogno però interrotto da forti trasalimenti (si veda la poesia "l'invetriata", mirabile spleen baudelairiano).
Nella seconda parte - nel notturno di "Genova", ritornano tutti i miti fondamentali che saranno del Campana successivo: le città portuali, la matrona barbarica, le enormi prostitute, le pianure ventose, la schiava adolescente.
Già nella prosa si nota l'uso dell'iterazione, l'uso drammatico dei superlativi, l'effetto d'eco nelle preposizioni, il ricorrere alle parole chiave che creano una forte scenografia.


L'interpretazione della poesia

Nel quindicennio che va dalla sua morte alla fine della seconda guerra mondiale (1932-1945) ed anche in seguito, nel periodo dell'espressionismo e del futurismo, l'interpretazione della poesia di Campana si focalizza sullo spessore della parola apparentemente incontrollata, nascosta in una zona psichica di allucinazione e di rovina.
Nei suoi versi, dove vi sono elementi deboli di controllo e di approssimativa scrittura, si avverte - a parere di molti critici - il vitalismo delle avanguardie del primo decennio del XX secolo; dai suoi versi, per la verità, hanno attinto poeti molto differenti tra di loro, come Mario Luzi, Pier Paolo Pasolini, Andrea Zanzotto.


Campana e Rimbaud

Il destino di Campana è stato avvicinato a quello di Rimbaud. Ma, in verità, tra Campana e il poeta maledetto il punto di contatto (il bisogno di fuggire, l'idea del viaggio, l'abbandono di un mondo civile estraneo) è affrontato in modo molto diverso. Dove Rimbaud abbandona la letteratura per fuggire in Africa e prestarsi a mestieri avventurosi ed alternativi, come il trafficante d'armi, Campana alla fine dei suoi viaggi, senza una vera meta, trova solamente la follia.
E se Rimbaud aveva fatto una scelta, Campana non scelse ma fu sopraffatto dagli eventi che attraversarono la sua vita diventandone una vittima: senza però mai disertare la poesia, come, differentemente, aveva fatto il poeta francese. Campana, fino al suo internamento a Castel Pulci, lotterà per la sua poesia e per una vita che non era mai riuscita a donargli nulla in termini di serenità e pace; e anche la strada dell'amore, il suo incontro con Sibilla Aleramo, si trasformerà in una sconfitta.
Come scrive Carlo Bo nel saggio "La nuova poesia: Storia della letteratura italiana - il Novecento" (Garzanti, 2001):
« ... il destino così doloroso di Dino Campana risponde precisamente ad un problema sollevato dal giovane Victor Hugo, verso il 1834. La domanda di questo allora quasi sconosciuto Hugo era: "Jusqu'à quel point le chant appartient à la voix, et la poésie au poète?". Domanda di una inesauribile novità e contro cui nulla hanno potuto le innumerevoli esperienze poetiche in più di un secolo, anzi direi che rimane confermata dalle maggiori audacie degli esempi più usati: l'autorizzano Baudelaire, Rimbaud e la storia dei surrealisti. Noi sappiamo i nomi che mancano, quello di Dino Campana va fatto senza timore. »
Eugenio Montale fu tra i primi estimatori ufficiali, il più autorevole ad oggi, delle composizioni di Dino Campana, tanto da dedicargli una poesia o meglio un omaggio a chi meglio di lui aveva saputo piegare le parole fino a renderle ancora più oscure.
Sebbene i canti di Dino Campana affondino ben oltre il simbolismo francese, fatto di audaci freddi e monotoni alessandrini, direttamente nelle radici della nostra terra toscana, Campana guarda al Trecento dantesco, al Cavalcanti al Dante della commedia fino ad arrivare ai canti del Foscolo (Giacomo Leopardi ancora non era stato molto diffuso), ed è toccante l'allusione dantesca con cui Eugenio Montale chiude questa struggente lirica di stampo prettamente biografico (di Dino Campana si evitava di citare per motivi piccoli borghesi la sua vita e i suoi amori travagliati nonché il suo pacifismo antinterventista) e proprio per questo ancor più provocatoria: "fino a quando riverso a terra cadde!".


Dino Campana e l'arte

La critica ha spesso indagato e continua ad interrogarsi su quanto vi è di figurativo nell'opera del poeta di Marradi, conosciuto dall'immaginario come il poeta folle e visionario.Nel 1937 Gianfranco Contini scriveva «Campana non è un veggente o un visionario: è un visivo, che è quasi la cosa inversa». Nei Canti Orfici sussistono infatti elementi sia visivi che visionari con numerosi riferimenti alla pittura. Analizzando la funzione che questi aspetti hanno all'interno dell'opera si nota con evidenza come al lato visionario, con riferimento a Leonardo, a De Chirico e all'arte toscana, sia affiancato in perfetta coesione quello visivo che trova le sue allusioni nel futurismo.
Pasolini, che aveva riletto con molta attenzione l'opera di Campana, aveva scritto[10] «Particolarmente precisa era la sua cultura pittorica: gli apporti nella sua lingua del gusto cubista e di quello del futurismo figurativo sono impeccabili. Alcune sue brevi poesie-nature morte sono tra le più riuscite e se sono alla "manière de" lo sono con un gusto critico di alta qualità».
A proposito poi delle conoscenze leonardesche dell'autore si può leggere, in una lettera del 12 maggio 1914 scritta da Campana a Soffici da Ginevra «Ho trovato alcuni studi, purtroppo tedeschi, di psicoanalisi sessuale di Segantini, Leonardo e altri che contengono cose in Italia inaudite: potrei fargliene un riassunto per Lacerba».


La Critica

Dopo la pubblicazione dei "Canti Orfici" inizia subito la critica con tre articoli che, se pur differenti, danno origine al mito Campana: sulla rivista "La Voce" appare, verso la fine del 1914, l'articolo di Giuseppe De Robertis, sulla "Tribuna" quello di Emilio Cecchi e sulla "Riviera Ligure" quello di Giovanni Boine entrambi del 1915.


Curiosità
Il ritrovamento del manoscritto de Il più lungo giorno tra le carte di Soffici fu annunciato sul Corriere della sera del 17 giugno 1971 da Mario Luzi e ha consentito nuove forme di indagini sul complesso degli scritti campaniani.
Alla vita di Dino Campana è dedicato il romanzo La notte della cometa di Sebastiano Vassalli (1990), alla cui stesura l'autore dedicò 14 anni di ricerche e di lavoro. Si tratta di una biografia romanzata.
A cura di Sebastiano Vassalli si segnala la raccolta Dino Campana - Un po' del mio sangue (2005) che, oltre ai Canti Orfici, contiene varie poesie, un'antologia delle lettere e una cronologia della vita. Le lettere pubblicate sono riprese dal volume di Gabriel Cacho Millet, Souvenir d'un pendu, edizioni ESI, Napoli, 1985.
Alla vicenda di Campana sono stati dedicati la pièce teatrale Quasi un uomo dello scrittore argentino Gabriel Cacho Millet (curatore anche dell'epistolario di Campana dal titolo Le mie lettere sono fatte per essere bruciate) e il film di Michele Placido Un viaggio chiamato amore (2002), con Stefano Accorsi nei panni di Campana e Laura Morante in quelli della Aleramo.
Alla storia di amore fra Campana a la Aleramo è dedicata la poesia Sibilla del poeta Riccardo Savini, inclusa nella raccolta Nero oro ero (2010).

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