8.1.11

William Klein

















Nasce a New York nel 1928 da una famiglia d’origine ungherese di poveri immigranti ebrei. Il commercio di abbigliamento di suo padre andò in rovina nel 1928. Crescendo nel pieno degli anni 30 nelle mean streets di Manhattan, in una sorta di quartiere di semi-slums, conosce subito l’antisemitismo, sia da parte dei suoi compagni di studio sia sulla strada. Klein era un ragazzo ebreo in una comunità irlandese e per questo si sentì sempre alienato dalla cultura di massa. Nonostante ciò fu subito un ragazzino brillante, sarcastico, che amava le arti e l’umanità. Adorava il Moma che divenne quasi la sua seconda casa dai 12 anni in poi. A 14 anni, superando di gran lunga i suoi compagni, inizia a studiare sociologia in un college di New York. 18enne abbandona gli studi e passa due anni nell’esercito americano, operando in Germania e in Francia come operatore radio e viene congedato a Parigi dove decise di rimanere per fare il pittore.
Nel 1948 ebbe modo di conoscere il grande pittore Fernand Legér di cui apprezzava le idee artistiche. Inizia a frequentare l’atelier di Legèr, senza però diventare suo allievo, cominciando a condividere ed apprezzare il suo pensiero e le sue idee, più dei suoi quadri stessi. Nota che Legèr invita i propri allievi a prendere spunto per la creazione delle proprie opere, dai quadri dei maestri del 400 come Masaccio, Cimabue o Piero della Francesca, cercando poi di stabilire dei legami tra l'arte, l'architettura, la grafica e gli altri mezzi espressivi tra cui anche la fotografia. Invitava inoltre i suoi seguaci a rifiutare la conformità e i valori borghesi, affermando che gli atelier e le gallerie fossero obsolete, e a lavorare per strada.
William Klein sposa Florin del Jeanne, parigina, e decide di rimanere in Francia.
La grafica, il Bauhaus, Mondrian e Max Bill hanno molto influenzato la formazione artistica di Klein, che assimila l’intera evoluzione dell’arte plastica e dà vita una serie di pitture murali.
Nel 1952 Klein ha due esibizioni a Milano presso il Piccolo Teatro e alla Galleria il Milione e incomincia a collaborare con l’architetto Angelo Mangiarotti, che gli commissiona dei dipinti murali su pannelli mobili, che vengono usati per dividere le stanze. Nello stesso anno inizia a collaborare con la rivista italiana d’architettura 'Domus'.
Nel 1954, dovendo realizzare un nuovo lavoro che implicava l’utilizzo di materiali speciali, non reperibili in Europa, lascia Parigi per recarsi a New York e qui comincia un complicato rapporto d'amore e odio con la sua città natale. Grazie alla visione europea, acquisita durante la permanenza a Parigi, riceve molti stimoli positivi da ciò che vede e decide quindi di realizzare un diario fotografico del suo soggiorno newyorkese. Nello scattare le fotografie, si sente libero da ogni accademismo, oltre che da tutti quei preconcetti che consideravano scarse le foto sgranate, mosse o di cui si era ingrandito un solo particolare. Di quel periodo Klein racconta: “era come se fossi un etnografo: trattavo i newyorkesi come un esploratore tratterebbe uno Zulu. Cercavo lo scatto più crudo, il grado zero della fotografia.'
Nel 1956 nasce “Life is good and good for you in New York”, uno dei libri più importanti della storia della fotografia, ma appena presentato fu uno scandalo… gli americani non si riconoscono nelle foto di Klein, addirittura lo criticano e lo disprezzano. Perfino la celebre rivista 'Vogue', con la quale Klein incomincia a lavorare per servizi di moda grazie all’amicizia con Alexander Liberman, rimane shockata dalla visione dell’artista della grande mela: cruda, aggressiva e volgare. Altri addirittura danno dell’incompetente a Klein che non riesce a trovare un editore in America. Difatti solo dopo il suo rientro in Francia riesce a pubblicare il suo libro, grazie all’interessamento di Chris Marker. Il successo è dietro l’angolo: il libro vince il premio Nadar e Klein diventa famoso in tutto il mondo.
Proprio dopo aver visto il libro “New York”, qualche anno dopo la sua pubblicazione, Federico Fellini gli offre la possibilità di lavorare come assistente sul set di “Le notti di Cabiria”. Per Klein è la possibilità di stare accanto ad un altro genio visionario e, contemporaneamente, di acquisire nuove immagini e nuove esperienze.
È poi la volta di altri libri che lo rendono una figura di riferimento dell'underground, quali ROMA (1956), MOSCA (1961), TOKIO (1962). Tutti i libri sono caratterizzati da immagini grezze, sgranate, vorticose ma al tempo stesso molto rigide. Dal 1955 al 1965 lavora per Vogue. Preferisce fotografare i modelli per la strada o in location. Non è particolarmente interessato ai vestiti o alla moda e sfrutta questa opportunità per fare ricerche nel processo fotografico introducendo nuove tecniche nella fotografia del settore come obiettivi a campo lungo e grandangoli, esposizioni lunghe unite ad esposizioni istantanee e multiple – rinnovando la fotografia legata al mondo della moda.
A partire dal 1965 fino ai primi anni 80, abbandona la fotografia e si concentra nella realizzazione di film (lungo e cortometraggi) e svariati documentari: “Broadway by light” (1958), “Who are you Polly Maggoo?” (1966), “Mr. Freedom”, “Muhammad Ali the Greatest”, “The little Richard story” (1979), “The Messiah” (1999).
Klein ritorna alla fotografia tradizionale dopo il 1980 grazie a un nuovo interesse nelle sue prime fotografie. Il trend dei fotografi di quegli anni è quello di realizzare primi piani e di sfruttare gli obiettivi grandangolari. In questi anni in poi pubblica CLOSE UP (1989), seguiranno TORINO 90 (1990), WILLIAM KLEIN FILM (1998) e PARIS+KLEIN (2002). Durante gli anni 90 Klein continua a creare e mescolare le sue conoscenze artistiche usando la pittura e la fotografia. Riceve il premio Hasselblad e numerose retrospettive dei suoi film vengono organizzati a New York e in Giappone. Riceve di seguito diversi premi come il premio Agfa-Bayer/Hugo, il Guggenheim Fellowship negli USA, il Prand Prix National in Francia, il Kultur Preis e il Prix Agfa-Erfurt in Germania.
Realizza successivamente “In & Out of Fashion”, un progetto che coinvolgeva diverse arti come il disegno la fotografia e i video e la mostra viene esibita contemporaneamente a Londra, Parigi e New York. Nel 1997 fotografa di nuovo la sua città natale e realizza mostre a Parigi e Barcellona. Nel 1999 riceve il premio “Medal of the Century' dalla Royal Photographic Society di Londra.
Pittore, fotografo, cineasta, grafico, Klein è un vero e proprio ‘Americano a Parigi’, dove attualmente vive e continua a lavorare.
L’EVOLUZIONE STORICA DELLA FOTOGRAFIA SOCIALE
Non possiamo collocare William Klein in una corrente né tantomeno ad un movimento artistico. Lui è l’artefice di una nuova visione che rompe tutti gli schemi e i concetti fino ad allora portati avanti con la fotografia. Dopo aver fotografato i pannelli mobili che realizza in Italia, giunse per caso, usando cartoni frastagliati e forati attraverso i quali faceva filtrare della luce, a tracciare nello spazio il movimento di forme geometriche. Superando d’un colpo le raygrafie di Man Ray, che fissava la forma degli oggetti proiettandola direttamente sulla carta sensibile, Klein è stato il primo astrattista a rompere il giogo formale e a raggiungere quella “realtà” cui, fin dalla fine della guerra, si tendeva a voltare le spalle. In quel periodo, nel 1954, la parola d'ordine era obiettività, eleganza, misura, distanza e discrezione, leggi imposte dal fotografo modello di quel periodo: Henri Cartier-Bresson. Quest’ultimo e i suoi seguaci avevano voluto mettere ordine nel disordine del mondo, riuscendo a farci credere all’ordine segreto che avevano scoperto. A Klein l’estetismo di avanguardia, allora di moda, non è affatto congeniale. Klein non prende a modello i “fotografi testimoni” (Alfred Eisenstaedt, Henri Cartier Bresson) e va nella direzione opposta: è partito dal caso quotidiano per organizzare il disordine. Lascia cadere il mito dell’obiettività e provoca una sorta di fotoautomatografia della strada. Klein parte dal ricordo delle fotografie più crude dei quotidiani, quelle che illustrano i delitti violenti che riempiono le pagine dei rotocalchi popolari di NY, come il Daily News. È fortemente presente e usa la violenza mentre fotografa. Ma nelle sue immagini non si trova mai tracce di crudeltà vera e propria, come invece possiamo trovare nelle foto di Weegee. Klein di sé dice: “a Parigi, con gli amici, gravitavo verso l'anti-arte, perché non fare l'anti-foto? Giocai al "paparazzo" trattando l'avvenimento come se fosse uno scoop.”
Dice quindi basta con i ritratti, le nature morte e paesaggi fotografici. Sperimenta di tutto. Immagini accidentali, deformazioni, grana, il mosso. Scatta del sue foto senza puntare. Esagera la grana, il contrasto. Ingrandisce a dismisura. Passa letteralmente il processo fotografico al "tritacarne".
Con le sue foto di New York e la sua popolazione lancia un bomba e muta radicalmente l’immagine che si aveva allora del mondo. Questa rivoluzione non è frutto del caso. Gli artisti che si pongono coscientemente controcorrente sono di solito i primi a conoscere e a valutare le resistenze e le opposizioni che dovranno affrontare e superare per sopravvivere. Grazie all’impulso che riceve dal suo maestro Legèr, che lo spinge a lavorare per strada, gli artisti americani della Pop Art, che avrebbero iniziato un’opera simile qualche anno più tardi, devono a Legér e a Klein molto di più di quanto è stato riconosciuto. Klein fotografa con una Leica, che l’artista stesso ammette di non sapere adoperare bene, e sfrutta la sua ignoranza in maniera esemplare, come faranno di seguito Andy Warhol e Robert Rauschenberg senza la minima inibizione. In opposizione alla action-painting, in voga in quel periodo, Klein inventa la action-photography. Lui stesso dice: “Molto consapevolmente ho fatto il contrario di quello che si faceva. Pensavo che il fuori campo, il caso, l’utilizzazione dell’incidente, un altro rapporto con l’apparecchio avrebbero permesso di liberare l’immagine fotografica. Ci sono cose che solo un apparecchio fotografico può fare […] L’apparecchio ha moltissime possibilità che non sono sfruttate. Ma questa è la fotografia. L’apparecchio può sorprenderci, bisogna aiutarlo.”
Oggi l’influenza e la reputazione di Klein, un Americano che vive a Parigi, viene paragonata a quella del grande Robert Frank, un Europeo vissuto in America. Non tutti sanno che una delle più grandi opere di Frank “The Americans” (1958) fu bocciato dalla stragrande maggioranza di critici ed intellettuali e il libro “New York” di Klein non fu mai pubblicato negli USA. Entrambi questi artisti si sono ribellati contro la consapevolezza di bellezza ed eleganza. Entrambi hanno scrutato gli Stati Uniti. Frank in maniera ironica e distante, Klein in modo più violento e personale. Frank, nei suoi scatti, usava la stessa macchina fotografica con un’unica lente, settaggi impostati e stessa tecnica; Klein sperimentava a 360°. Frank mostrò l’America completamente inedita, Klein cerca di mostrarla in modo completamente inedito. Frank ritrae NY con una forma estremamente classica che segue con maestria i cammino del modello formale esaltato da Cartier-Bresson con immagini chiare apertamente narrative che non hanno nulla a che fare con quella specie di trance da cui viene colto Klein nel momento in cui ritorna nella sua città natale. Il libro di Frank in un certo senso chiude un’epoca. Mette in scena il “rito di passaggio” tradizionale per gli studenti americani: quello che va dalla fine degli studi all’inizio della vita lavorativa, mentre quello di Klein fa saltare tutti i tabù che avevano paralizzano la fotografia fino al quel momento. Per tale motivo Klein rimane ed è distante e diverso da tutti i suoi contemporanei. Benché venga paragonato a Robert Frank e a Walter Evans, grazie al grande lavoro svolto nella fotografia sociale, Klein è indubbiamente opposto a gli altri.
Klein ha influenzato molti fotografi impegnati nella fotografia sociale, perché grazie alle sue opere la fotografia è divenuta ancora di più un mezzo per conoscere le persone (alcuni artisti influenzati da Klein sono: Diane Arbus , Eugene Smith, Mario Cattaneo).

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